Al Teatro del Giglio di Lucca la versione bresciana (molto interessante) di Madama Butterfly raccoglie vigorosi applausi. Buona prova di Yasko Sato interprete di Ciò-Cio-san. Bene l’orchestra dei Pomeriggi musicali. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Figlia di un allestimento del Teatro Grande di Brescia in coproduzione con i teatri del circuito OperaLombardia, Teatro del Giglio e Opera Nazionale Estone, Madama Butterfly è andata in scena a Lucca nel giorno del centoventesimo anniversario della prima rappresentazione dell’opera, che avvenne alla Scala il 17 febbraio 1904. Serata di tempesta, come tutti sappiamo, fra veleni, complotti, fatalità e un cocente insuccesso tuttora studiato alla ricerca di improbabili responsabili. A mio modestissimo avviso è invece più interessante pensare che da quel giorno è iniziato per Madama Butterfly un lungo cammino di resilienza che ha portato a numerose versioni successive dell’opera e che probabilmente alla morte di Puccini non si era concluso, se è vero che ancora nel 1920 per una produzione al Teatro Carcano di Milano, Puccini medesimo aveva provveduto ad apportare delle modifiche delle quali è rimasta la traccia, ma che non sono state stampate. Fra la versione originale del 1904 e quella “Carcano” sappiamo di molti altri adattamenti il cui sviluppo reca a quella che riteniamo essere la versione definitiva,  poiché è quella che quasi sempre si allestisce e si ascolta, ma che probabilmente non lo è.

Giacomo Puccini

La produzione presente, nascendo a Brescia, ha adottato la seconda versione dell’opera, quella che proprio a Brescia andò in scena il 28 maggio 1904 e che fece segnare la ripartenza dell’opera. Non ancora il successo travolgente che arriverà solo dopo una produzione parigina e un tour americano del 1908 (entrambe in traduzione: francese e inglese) e la crescente popolarità ottenuta soprattutto nella provincia italiana, ma non alla Scala dove l’opera fu “riconsacrata” solo il 29 novembre 1925, nel primo anniversario della morte di Puccini.

La versione di Brescia è molto interessante. Vi si trova già quasi tutto quello che abbiamo nella stesura che si ritiene “definitiva”, ovvero l’ampliamento della parte di Pinkerton, il celeberrimo “coro muto” e diversi altri aggiustamenti riguardo armonia e tonalità. Queste modifiche, tuttavia  qui convivono con episodi non ancora soppressi che conferiscono al personaggio di Cio-Cio-san una sensibilità persino più materna, femminile e articolata di quella consueta. Così come appaiono degni di nota e non disturbanti la speditezza narrativa (se questa cerchiamo la si cerchi altrove, ma non in Butterfly, che invece è il trionfo di un lento processo trageda) i quadretti “di colore”, della madre, della zia e della cugina, nonché del modificato zio Yakusidé, nel primo atto.

L’allestimento, nella regia di Rodula Gaitanou, scene e costumi di Takis, mette in evidenza la contrapposizione fra due culture (quella giapponese e quella americana, viste dalla lente dell’osservatore europeo, in questo caso Puccini, ma il concetto può essere estrapolato ed ampliato a molti altri fenomeni di cultura duplice) senza rafforzarne gli stereotipi ricorrendo ad un’estetica astratta che gioca sul piano della decostruzione e del simbolismo. Dunque lo spazio scenico (angusto) è talvolta un’onda che modifica il destino di Butterfly (in questa versione è fino all’ultimo molto più in bilico di quello spedito del consueto) talvolta un pendio di montagna di difficile accesso, dove la protagonista vive sola in isolamento, emarginata dalla società. Un buon lavoro al quale ha contribuito la scelta dei costumi di D’Inzillo Sweet Mode.

Sul piano musicale la blasonata orchestra dei Pomeriggi Musicali ha suonato con trasporto ed un’efficacia forse priva di grandi sfumature (ero però seduto molto vicino e potrei essermi perso dunque qualcosa in termini di colore orchestrale) ma ricca di emozione sotto la direzione composta e vigorosa di Alessandro D’Agostini.

In palcoscenico Yasko Sato, Cio-Cio-san, ha disegnato un personaggio ideale per partecipazione e interpretazione, dignitosa, composta e intensa fino all’ultimo e ha cantato con voce molto bella e piena nel registro centrale sul quale la parte è quasi completamente articolata. Meno a suo agio è parsa nella zona acuta, ma la sua è una prova di valore. Molto bene, proprio molto bene la Suzuki di Asude Karayavuz, elegante e raffinata nell’azione scenica, così come piacevole dal lato vocale. Assai interessante Riccardo Della Sciucca (in questa versione ancora Sir Francis Blummy Pinkerton, invece del più comune Benjamin Franklin) dotato di una linea di canto pulita, di acuti squillanti e di un fraseggio abbastanza vario, sicuro indice di buona scuola. Lo riascolteremo con piacere. Devid Cecconi, Sharpless, è andato in crescendo, risultando efficace negli evidenti impacci ai quali il console americano è destinato nel tamponare le sconsideratezze di Pinkerton (ultima di queste, il rotolo di dollari da consegnare a Cio-Cio-san in conto di spese di mantenimento, gesto veramente orribile). Ottimo il Goro di Giuseppe Raimondo, sonoro comme-il-faut il Bonzo di Fulvio Valenti e bene anche lo Yamadori di Alex Martini. Encomio per lo Yakusidé di Yamashi Tomosugi, per la Madre di Serena Pulpito, per la Kate Punkerton di Maria Cristina Bellantuono e per tutti coloro che hanno animato i numerosi personaggi collaterali: Liu Tong (Il Commissario imperiale), Mattia Rossi (L’Ufficiale del registro), Daryna Shypulina (La zia), Tiziana Falco (La cugina). Molto bravo e composto il bambino Enea Piovani che ha interpretato il figlio di Butterfly. Buono anche il coro di OperaLombardia, diretto da Diego Maccagnola.

 Vigorosi applausi. 

(Domenica 18 febbraio replica al Giglio, ore 16).