Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze. La magnificenza durante il Granducato di Toscana sotto i Lorena in una grande mostra a Palazzo Pitti. Con un intervento di Eike Schmidt, direttore degli Uffizi

Quando il Conte Carlo Ginori nel 1737 chiamò al suo servizio Carlo Wendelin Anreiter de Ziernfeld, pittore austriaco specializzato in porcellana, non badò certo a spese. Nei documenti è scritto che “… si obbliga questo a condurlo con la sua Moglie, e Creature a sue spese in Toscana ed ivi pagargli fiorini seicento all’anno, con più dargli con la sua famiglia quartiere, e solo ad esso Ziernfeld la tavola con vino, e di così continuare a tenerlo con tale assegnamento anni sei”.

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Insomma, quello stipendio favoloso, cui si aggiungevano vitto (con vino) e alloggio per lui, la moglie e i 10 figli, più gli altri 3 che nacquero durante la sua permanenza in Italia, servivano ad assicurarsi il più valente artista del genere sulla piazza europea: è evidente la volontà di Carlo Ginori di puntare senza indugio, per la manifattura di Sesto Fiorentino, a una qualità altissima, garantendosi inoltre relazioni strettissime con l’opificio viennese fondato nel 1718 da Claudius Innocentius Du Paquier. L’effetto fu che entrambe le produzioni ebbero un ruolo decisivo nella trasmissione di motivi decorativi, forme e tecniche artistiche che di fatto influirono nella definizione del gusto dell’epoca.

  • Di tutto questo, e di molto altro racconta la mostra “Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze”, curata da Rita Balleri, Andreina d’Agliano, Claudia Lehner-Jobst e realizzata in collaborazione con la collezione del Principe di Liechtenstein (Vaduz–Vienna). Dal 13 novembre 2018 al 10 marzo 2019 a Palazzo Pitti a Firenze.

Le opere esposte – porcellane, ma anche dipinti, sculture, commessi in pietra dura, cere, avori, cristalli, arazzi, arredi e incisioni – offrono un fertile dialogo tra le arti, per celebrare la magnificenza della porcellana durante il Granducato di Toscana sotto la dinastia lorenese. Ai prestiti hanno contribuito istituzioni nazionali e internazionali e i più importanti musei europei e statunitensi, oltre a diverse collezioni private.

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L’energia imprenditoriale del Marchese Ginori, senatore fiorentino, spaziava su ampi orizzonti, e le porcellane prodotte riflettevano un gusto internazionale, che poteva sì tener conto della tradizione fiorentina, ma anche degli influssi del lontano Oriente e in particolare cinesi, e che cercava di soddisfare committenti esigenti in Italia e all’estero. Per prosperare, la manifattura doveva aprirsi anche alle novità provenienti da fuori, e l’atmosfera e la produzione artistica – a Doccia, ma in generale nella Firenze dei Lorena erano dunque improntate a un criterio di eccellenza cosmopolita. La porcellana non fa eccezione, e diventa non solo lo specchio di quanto veniva sperimentato nelle altre forme d’arte, ma riflette altresì tutta una serie di abitudini e mode sociali, in un’epoca di grandi cambiamenti, anche alimentari.

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Nel 1663 i Medici si procacciarono per primi, importandola dalla Spagna, la cioccolata, e fu subito amore. Come sottolinea in catalogo il Direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, la cioccolata e il caffè “resero necessaria la creazione di nuovi oggetti e di vasellame, che possiamo immaginarci tintinnare e splendere nel Kaffeehaus fatto erigere apposta a Boboli su progetto di Zanobi del Rosso, terminato nel 1785 circa (e che riaprirà a breve, dopo una campagna di restauri). Un altro gioiello architettonico voluto da Pietro Leopoldo, rotondo e bombato, ispirato al barocchetto viennese: è una costruzione di mattoni e calce, ma da lontano sembra una fantasia in porcellana di Doccia, quasi una chicchera gigante, con una cupoletta per coperchio”.

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Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt (primo a destra), alla presentazione della mostra sulle porcellane

“La collaborazione europea e un pensiero che travalica i confini nazionali – dichiara Johann Kräftner, direttore del Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz–Vienna – si manifestano nelle vicende delle due Manifatture, appartenenti a una storia comune di governo e collezionismo confluite in questa stessa rassegna espositiva che si deve all’attuale cooperazione tra le due istituzioni e i loro collaboratori e collaboratrici. Una mostra che ripercorre questa lunga storia non a Vienna, dove venne già esaminata nella esposizione Barocker Luxus Porzellan del 2005, bensì a Firenze, dove le idee hanno trovato un comune terreno fertile”.

***L’INTERVENTO

La porcellana tra Firenze e Vienna nel Settecento: un linguaggio europeo
di Eike D. Schmidt
(direttore delle Gallerie degli Uffizi)

Palazzo Pitti ospita ora, a distanza di poco più di un anno, una seconda mostra dedicata alla porcellana: e mentre la prima, Omaggio al Granduca (giugno-settembre 2017), era incentrata sulla produzione di Doccia in particolare nell’Ottocento, secolo cui gli studi specifici avevano finora dedicato meno attenzione, in questa seconda occasione l’argomento è la nascita e lo sviluppo nel Settecento, grazie al marchese Carlo Ginori, di quella splendida manifattura toscana, le relazioni strettissime che essa ebbe con quella viennese fondata nel 1718 da Claudius Innocentius Du Paquier, e l’importanza che le rispettive produzioni ebbero nella trasmissione di motivi, forme, tecniche artistiche: in breve, nella formazione del gusto dell’epoca. A sfogliare le pagine di questo catalogo, ci si rende conto che nella Toscana dei Granduchi Lorenesi l’atmosfera artistica e culturale non conosceva confini, parlava molte lingue, e vi si respirava un’aria davvero cosmopolita, solo a considerare alcuni nomi in posizioni chiave.

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La Galleria dei Lavori ad esempio, dedicata al commesso in pietre tenere e dure – unica superstite delle antiche, gloriose Botteghe Granducali – era diretta da un francese, Louis Siries, chiamato da Francesco Stefano di Lorena nel 1748, ma già attivo a Firenze dal 1722, e poteva accadere che sui mobili a intarsio i motivi a grottesca si ispirassero alle incisioni che mezzo secolo prima Paul Deker aveva eseguito per la corte di Berlino, e che poi venivano utilizzate anche a Vienna nella fabbrica di porcellana fondata nel 1718 da Du Paquier.

A Firenze, nella Manifattura di Doccia impegnata anche nella realizzazione del commesso in pietre dure, altrimenti detto ‘fiorentino’, si assimilavano i caratteri stilistici della porcellana viennese con l’adozione del fondo bianco, in voga alla corte austriaca sull’esempio di Meissen. Dal 1743 un viennese, Carl Wendelin Anreiter von Ziernfeld, era stato messo a capo dei pittori di Doccia, e se da un lato la tradizione medicea veniva evocata con nostalgia reverente, dall’altro si ripercorrevano forme e motivi che guardavano anche all’Oriente e alla Cina tout court (lo si comprende bene ad esempio nel caso di oggetti in porcellana bianca decorati con fiori a rilievo, derivati da quelli cosiddetti ‘Blanc de Chine’ importati in Europa già dalla fine del Seicento e oltre dalle fabbriche cinesi del Fu-kien) o alla Cina vista anche attraverso il filtro della Manifattura di Du Paquier (si veda ad esempio il delizioso rinfrescatoio con coperchio, qui in mostra, il cui decoro rugiadoso, con preminenza di verdi, che si rifà alla famiglia verde del periodo Kangxi, evoca in modo sublime la funzione a cui l’oggetto era destinato).

Ma lo sguardo anche imprenditoriale del marchese Ginori andava lontano, se nella sua manifattura veniva progettato il vasellame per il Bey di Tripoli e si inviavano rappresentanti ad Algeri. Questo patrizio illuminato, che arrivò a far coltivare specie rare nel giardino davanti alla sua fabbrica, chiamando come capo giardiniere nel 1737 un altro viennese, Ulderico Prucker (o Pruker), era un senatore fiorentino che politicamente fiancheggiava le file antilorenesi, ma aveva capito che per far fiorire le attività nel suo paese doveva aprirsi anche alle novità provenienti da fuori. Il Marchese muore nel 1757, ma il suo spirito aleggia ancora sull’operato di Pietro Leopoldo, il sovrano illuminista giunto a Firenze nel 1765.

È soprattutto a quest’ultimo, che si deve la ferma volontà di far rivivere l’artigianato toscano e dare nuovo impulso alla produzione di porcellana, importando motivi e oggetti da Vienna, favorendo una diffusione della produzione locale grazie a scambi e commerci. In quel Granducato di Toscana che, primo al mondo, abolisce tortura e pena di morte nell’amministrazione della giustizia criminale (Codice Leopoldino), che istituisce la Camera di Commercio, che avvia piani di bonifica nelle campagne e che adotta in città l’illuminazione a olio come nella grandi capitali europee, la Manifattura delle porcellane di Doccia occupa un ruolo centrale anche nella rispondenza della produzione alle scoperte e alle innovazioni del tempo, introdotte nel quotidiano dalla corte di un sovrano liberale e di ampie vedute. L’arrivo e la diffusione della cioccolata e del caffè nelle abitudini alimentari del tempo, tra l’altro, resero necessaria la creazione di nuovi oggetti e di vasellame, che possiamo immaginarci tintinnare e splendere nel Kaffeehaus fatto erigere apposta a Boboli su progetto di Zanobi del Rosso, terminato nel 1785 circa (e che riaprirà a breve, dopo una campagna di restauri). Un altro gioiello architettonico voluto da Pietro Leopoldo, rotondo e bombato, ispirato al barocchetto viennese: è una costruzione di mattoni e calce, ma da lontano sembra una fantasia in porcellana di Doccia, quasi una chicchera gigante, con una cupoletta per coperchio.

LA SCHEDA DELLA MOSTRA

Fragili Tesori dei Principi
Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze
Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti, Gallerie degli Uffizi, Firenze
13 novembre 2018 – 10 marzo 2019

Direttore delle Gallerie degli Uffizi
Eike D. Schmidt

Direzione della mostra
Valentina Conticelli

Cura della mostra
Rita Balleri
Andreina d’Agliano
Claudia Lehner-Jobst

Progetto dell’allestimento e direzione dei lavori
Mauro Linari
Collaborazione tecnica
Claudia Gerola, Annalisa Orsi, Angela Pintore
Realizzazione dell’allestimento
Opera Laboratori Fiorentini – Civita
Leonardo Baldi

Catalogo
Sillabe / a cura di Rita Balleri, Andreina d’Agliano, Claudia Lehner-Jobst