Cavalleria rusticana come non l’avete mai sentita. Al Teatro Goldoni di Livorno (con l’Opera City di Kytakyushu) aspettando (perché no?) una incisione discografica. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

E così in occasione del centosessantesimo anniversario della nascita di Pietro Mascagni

il Teatro Goldoni ha programmato un omaggio davvero interessante mettendo in scena Cavalleria rusticana secondo la partitura conservata presso la Stanford University, operazione sinora realizzata solo in Giappone per conto  della Opera City di Kitakyushu che insieme con il Teatro di Savona ha coprodotto l’evento. 

Tale partitura è quella che Pietro Mascagni inviò al vaglio della Commissione esaminatrice per il Secondo Concorso Sonzogno il 27 maggio 1889 e che superando diversi barrages risultò vincitrice della competizione, conferendo al suo autore popolarità e ricchezza. Non sappiamo però se questa redazione originale della partitura sia quella eseguita al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890, data della prima rappresentazione assoluta di Cavalleria rusticana; anzi, diremmo che con ogni probabilità non fu così. La partitura in questione è abbastanza dissimile dalla versione nota, correntemente in uso.

Alcune scene, qui, sono considerevolmente più lunghe, segnatamente la sortita di Alfio, la Preghiera e il Brindisi, le tonalità sono più alte (e questo almeno parzialmente lo si sapeva, anche per testimonianza dello stesso Mascagni), talvolta è diversa anche la struttura interna dei brani rispetto a quella consueta, come verifichiamo nei duetti fra Santuzza e Turiddu e fra Santuzza e Alfio. Persino il famoso grido “Hanno ammazzato Compare Turiddu” ha una sintassi differente. Certo, Cavalleria rusticana in questo originale si riconosce, ma le due partiture non sono sovrapponibili. Una utile tavola sinottica preparata per l’evenienza e diffusa in  sala rende nota l’entità non esattamente esigua delle differenze fra la versione “Stanford” e quella di uso corrente. 2123 battute compongono la “Stanford”, 1915 quella corrente e i cambiamenti complessivi sono 18.

Come è possibile essere giunti a tanto? 

Innanzitutto si deve dire che attuare cambiamenti, “accomodi”, nuove versioni di un’opera anche dopo la prima rappresentazione assoluta è fatto piuttosto abituale e anche all’epoca accadeva. Facciamo un esempio per tutti: Giacomo Puccini con il “palinsesto” Madama Butterfly, gli interventi sulla Rondine e sul Trittico, per tacere di quelli giovanili sulle Villi e su Edgar. 

Per Mascagni non fu esattamente così. A parte la “querelle” di Parisina, i cambiamenti in itinere da lui compiuti si contano sulla punta delle dita.

 Con Cavalleria il percorso fu diverso. L’originale inviato al Concorso fu modificato in vista della rappresentazione e forse anche dopo.

Dunque chi è stato a ricondurre Cavalleria rusticana dall’originale presentata al Concorso Sonzogno a quella attuale? Da qualche parte si è detto che fu il direttore d’orchestra Leopoldo Mugnone, primo esecutore dell’opera, e talune “segnature” sulla partitura Stanford lo farebbero credere,  ma, se così fosse, perché Mugnone stesso non avanzò diritti di paternità sull’operazione “Cavalleria rusticana”? Mugnone è stato colui il quale ha realizzato la riduzione per canto e pianoforte dell’opera, questo lo si sa dal 1890, ma è diverso. Fu Mascagni stesso a decidere quali fossero i cambiamenti da fare, concordandoli certamente con Mugnone e forse anche dietro suggerimento di altri personaggi. Già nel marzo 1890, due mesi e mezzo avanti l’andata in scena, il musicista livornese informa la moglie con una lettera ora riversata nell’Epistolario pubblicato da LIM che “Platania (il musicista Pietro Platania, membro della commissione giudicatrice del Concorso Sonzogno) mi ha consigliato qualche taglio nella preghiera”. E sappiamo ancora da Mascagni (lettera alla moglie da Milano, 14 marzo 1890) che presso lo stabilimento Sonzogno il lavoro “di copiatura” della partitura “va avanti”. Dunque, con ogni probabilità a Roma fu usata una partitura “di copista”, come da prassi, e non questa originale e che tale partitura già recasse la maggior parte delle varianti. Vi è poi un’altra lettera di Mascagni, questa inviata ad Amintore Galli, direttore artistico di Casa Musicale Sonzogno, datata 25 aprile 1890, utile per ricomporre la vicenda dei cambiamenti fra l’originale “Stanford” ora eseguito a Livorno e la partitura di uso comune sulla quale tutti i direttori del mondo, autore compreso, hanno poi lavorato. In tale epistola il livornese informa Galli che Mugnone ha già letto Cavalleria in orchestra e “vuole che io gli indichi i tagli da farsi, oppure autorizzi lo stesso Mugnone a farli”. E questo chiarisce almeno in parte il lavoro di collegamento compiuto da Mascagni e da Mugnone, nel caso in cui questi sia stato l’esecutore materiale dei “tagli”, fra l’originale “Stanford” in questione e la partitura che ha poi reso nota Cavalleria. Questo spiega anche perché della paternità di tali “accomodi” nessuno abbia mai parlato, neppure i diretti interessati. Repetita: si trattò di lavoro concordato e non autonomo di Mugnone come da qualche parte è stato ventilato. A riprova di una certa quale suscettibilità di Mascagni nei confronti della difesa del proprio lavoro vi sarebbe poi una quarta lettera, inviata ancora ad Amintore Galli (25 luglio 1890 da Cerignola), dunque dopo la trionfale prima romana, ma avanti della produzione livornese (Teatro Goldoni, 14 agosto 1890, la seconda in assoluto di Cavalleria), ove, fra lagnanze varie a fronte del lavoro compiuto da Leopoldo Mugnone per piccole modifiche (con errori) nell’atto di redigere la riduzione per canto e pianoforte dell’opera in via di stampa per i tipi della Casa Sonzogno medesima (quella che attraverso ripristini vari tutt’ora si usa) Mascagni dichiara che i cambiamenti (dalla partitura orchestrale) erano stati decisi insieme, ma non quelli da lui indicati in questa sede, che a lui non piacevano. E tali cambiamenti li elenca tutti. 

È invece probabile che i cambiamenti fra la versione “Stanford” e quella definitiva siano stati suggeriti (vedi Platania) dalla commissione stessa, magari in nome di una maggiore teatralità.

Ma infine come “suona” questa Ur-Cavalleria? Suona benissimo, con un’attenzione contrappuntistica che non sempre ritroveremo in Mascagni. L’opera fila che è un piacere al pari della stesura definitiva, alcune pagine hanno uno sviluppo decisamente più articolato rispetto alla ruvida speditezza della versione corrente e ci riferiamo alla canzone di Alfio. Altre recano combinazioni armoniche felici come la Preghiera e il Brindisi che poi si sono perdute. Talvolta la soppressione risulta addirittura improvvida come nel caso di un mini-tema affidato all’oboe nella coda di “Voi lo sapete, o mamma”. Osservazione che vale pure per una battuta sfrontata e bruciante di Lola all’indirizzo di Turiddu: “al più scaltro”, dice la fedifraga all’amante durante gli scambi augurali nel brindisi. Persino il finale con il grido “hanno ammazzato Compare Turiddu” che passa da una voce sola a quelle di alcune donne del coro, non dispiace.

E ci sembra che la poetica di Cavalleria si collochi su un coté più lirico, quel coté Mascagni negli anni immediatamente a seguire, con la composizione dell’Amico Fritz (1891) e  dei Rantzau, dimostrò di sentire ab imo corde.

Si era formata una bella aspettativa per questa versione originale di Cavalleria rusticana. Anche la prova “generale” aperta agli studenti della scuola primaria e secondaria, tenutasi il 6,  era stata una festa e la sera del 7 dicembre, anniversario della nascita di Mascagni, il Goldoni era stracolmo, come “una caldaia di umanità fumante” per dirla con Gavazzeni (cfr. Il sipario rosso, pag 71). I recenti allestimenti del Piccolo Marat e delle Maschere, molto apprezzati, hanno lasciato un segno, e questa produzione della Cavalleria rusticana versione originale ha creato un entusiasmo che non si verificava da momenti mascagnani che hanno fatto storia. 

La produzione è stata affidata alla bacchetta del maestro Akitoku Nakai che ha diretto con chiarezza, dimostrando conoscenza e compenetrazione con una partitura inusuale. La parte visiva, invece, era quella del recente allestimento andato in scena al Teatro Chiabrera di Savona per la regia di Carlo Antonio De Lucia (assistente Vincenzo Maria Sarinelli) con le scene e i costumi appartenenti al repertorio del Teatro Goldoni. Avendo recensito lo spettacolo savonese non ci dilungheremo. Anche il cast era quello già udito a Savona, con l’inserimento del tenore Alberto Profeta quale Turiddu. Victoria Khorushunova, Santuzza, si avvale delle proprie risorse di soprano più lirico che drammatico e nella versione Stanford risulta maggiormente centrata. Alberto Profeta, alle prese con una indisposizione, ha fatto del suo meglio per risolvere la parte inerente a questo Turiddu che, se è difficile nella versione corrente, qui lo è ancor di più, con rimandi precisi al canto fiorito che Mascagni amava e con quell’Addio alla Madre nella tonalità di la che a Roma nel 1890 spaventò Roberto Stagno al punto da pretendere la trasposizione della tonalità a la bem. Molto bene Claudia Marchi come Mamma Lucia e Laura del Rio come Lola. Veramente degno di encomio Stavros Mantis come Alfio per la voce sonora e soprattutto per il fraseggio incisivo e l’interpretazione scolpita. Il migliore del cast. L’Orchestra del Teatro Goldoni ha suonato bene, con il giusto pride di chi è chiamato a dar vita ad una occasione speciale. Il coro, che nella versione originale ha  rilevanza ancora maggiore rispetto al consueto, ha fatto altrettanto bene ed è stato preparato con dedizione e competenza da Maurizio Preziosi. Nella compagine corale e in orchestra sono stati inseriti alcuni elementi della Opera City Kitakyushu.

Bellissimo successo. Anche noi ci permettiamo un suggerimento. Realizzare di questa versione originale di Cavalleria rusticana una incisione discografica ad uso di appassionati e studiosi.