“Tosca” a Genova: la raffinatezza di Valerio Galli (sul podio) e la godibile regia di Andrea Cigni. Le voci: Torre sostituisce Aronica (indisposto) e fa il bis, solida Maria José Siri, Gazale (Scarpia) fra passione e crudeltà, eccellente Didier Pieri (Spoletta). La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Forse per pigrizia, o perché mi fido della mia memoria, alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso cessai di tenere un brogliaccio delle cose che vedevo in teatro, e fu un peccato. Nel 1979 avevo partecipato da spettatore a più di 500 serate, iniziate nel 1965 con uno “Chénier” cantato da Angelo Lo Forese (salve maestro) e Floriana Cavalli nella mia città, Livorno, e collezionate in un girovagare serratissimo di luogo in luogo. Poi ho continuato e adesso viaggio sulla media di una cinquantina di spettacoli all’anno, uno per settimana più o meno. Di nomi e titoli avrei da metterne tanti, da quelli mitici di Del Monaco, Di Stefano e Corelli, della Gencer, della Verrett, della Crespin, di tanti direttori e tanti registi, ma non lo farò. Un giorno, sottraendomi alla pigrizia e concedendomi alla autorefenzialità, scriverò un libro.

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“Tosca”, però, fra le opere viste, un po’ perché mi piace da morire, un po’ perché mi dice di Roma, una città che adoro, occupa un posto privilegiato. Ora dovrei dire della mia prima visita in Sant’Andrea della Valle, il giorno dopo di una “Tosca” a Caracalla con Hana Janku (ma che voce!!!), Ruggero Bondino, Mario Petri, Guido Mazzini e Leo Pudis, e di come finii lungo disteso accanto alla teca che contiene i resti imbalsamati del beato Giuseppe Maria Tomasi, antenato dell’autore del Gattopardo. Che bella età, diciannove anni. In un altare laterale credetti di riconoscere quello per il quale Cavaradossi dipinge la Maddalena e mi detti a rinculare proprio come fa lui in palcoscenico per rimirare il suo quadro. Così facendo non mi accorsi degli scalini dietro di me e caddi. Nel voltarmi per tornare in piedi mi trovai a faccia a faccia col beato. Era di buon mattino e la chiesa ancora deserta: io e lui nella vastità silenziosa. Pareva dormisse. Ricordo come ora i radi peli della barba brizzolata sul venerabile, cereo, viso. Alzai i tacchi e uscii a passi rapidissimi con i battiti accelerati. Che paura!

Se non sto ad annoiarvi con cento e cento aneddoti dei miei su “Tosca”, dai “bu” che tutte le sere regolarmente intascavano Zanasi e Molinari Pradelli alla Scala senza sapere perché, impallinati da un
loggionismo un po’ becero, a un “O Scarpia avanti a Dio!” gridato il quale Tosca se ne uscì per la comune anziché gettarsi da Castel Sant’Angelo, oppure a un “È morto or gli perdono” della Raina che ricevette in risposta “Era l‘ora”, dalla gradinata areniana quando lo Scarpia era Peter Glossop, è solo per ragioni di spazio.

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Altri tre righi però me li prendo per dire che di “Tosche” a Genova ne ho viste almeno una decina, praticamente tutte quelle dal 1972 ad oggi e tutte di ottimo livello. Un’altra carrellata di nomi? Volentieri: tre volte la Raina, una la Magda divina, due la Ghena Dimitrova, una la Dessì, una la bravissima Tomowa Sintow, una la Guleghina, la Fantini, la Cedolins. Fra le interpreti da raccontare a veglia mi sono perso solo la Verrett. Accanto a loro ora i Cavaradossi di Ottavio Garaventa, Gianni Raimondi, Gianfranco Cecchele, Neil Shicoff, Giuseppe Giacomini, Francesco Meli, ora gli Scarpia di Aldo Protti, Silvano Carroli, Gabriel Bacquier, Kari Nurmela, Juan Pons, Carlos Alvarez. Fra i direttori, Oren, Molinari Pradelli (a Genova giustamente applaudito), il dimenticato Paolo Peloso, Jurowsky.

Chiuso il parco delle rimembranze, bisogna dire che la “Tosca” attuale fra quelle di buon livello viste a Genova ci sta tutta.

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Lo spettacolo (al Teatro Carlo Felice, ndr / ***) è godibile nella lettura registica tradizionale di Andrea Cigni che insieme ai costumi di Lorenzo Cutuli sposta l’epoca dell’azione dal 14 giugno 1800 a una novantina di anni dopo, verso un liberty indefinito e comunque pucciniano. Le scene di Dario Gessati, didascaliche nel primo atto e un po’ pedisseque nel secondo, s’inseriscono in un clima di pioggia non privo di suggestioni sul bastione di Castel Sant’Angelo: abbiamo interpretato questa scelta come un possibile riferimento alla battaglia di Marengo, così frequentemente citata nel testo librettistico, che appunto fu preceduta da giorni e giorni di pioggia battente. Vivide le luci di Fiammetta Baldiserri.

Valerio Galli ha ormai fatto di “Tosca” un caposaldo del suo repertorio direttoriale. Il
maestro viareggino offre un’interpretazione, oltre che amorosa di questa partitura, raffinata, dai bei suoni, curata nel rapporto con il palcoscenico. Il duetto “Mario! Mario!! Mario!!! Son qui” del primo atto e tutto il terzo prima della catarsi finale appaiono come due immemori oasi liriche, ma la direzione di Galli rimane moderna, non opulenta eppure conscia dei preziosismi orchestrali da mettere in evidenza senza perdere l’asciuttezza del dettato. Per gli appassionati della scrittura primigenia in questa Tosca è anche possibile ascoltare le battute che, subito dopo “Vissi d’arte” articolano l’impazienza di Scarpia (“Risolvi”) e la remissione della protagonista (“Mi vuoi supplice ai tuoi piedi”). Non che cambi qualcosa nei connotati drammatici dell’opera e, in ogni caso, se si eseguono quelle battute sarebbe bene evitare la fermata d’uso per gli applausi dopo la preghiera.

 

Gli interpreti vocali. Partiamo da Diego Torre che ha sostituito Aronica indisposto. Ben inserito nello spettacolo Torre ha messo in campo buona voce e applicazione che sono stati premiati con lunghi applausi dopo “E lucevan le stelle” fino alla concessione del bis. Forse troppo, ma il tenore è parso in netto progresso rispetto ad una Tosca bolognese precedente a questa. Maria José Siri ha confermato le impressioni che ci ha trasmesso, ad esempio, nella Francesca da Rimini scaligera un anno fa. Cantante solida, registro acuto eccellente, interprete non compassata, ma neanche trascinante. Comunque brava e come diciamo in Toscana, di lei “ce ne fussero”. Alberto Gazale alle prese con un personaggio da lui non troppo frequentato, Scarpia, ha messo in campo forse più passione che crudeltà, astuzia, insinuazione e anch‘egli non ha lesinato sul fiato. Uno Scarpia molto fisico, presente e non scevro da qualche amnesia.
Fra le parti di fianco eccellente lo Spoletta di Didier Pieri, caratterizzato alla bieca dal lato scenico, ma nitido su quello vocale. Buono lo Sciarrone di Ricardo Crampton, il Carceriere di Antonio Mazza e il Pastorello di Denise Colla, ma note meno liete per il Sacrestano di Matteo Peirone e l‘Angelotti di John Paul Huckle.

Coro discreto per la direzione di Francesco Aliberti e voci bianche che hanno ben figurato nella difficile scena della Cantoria dirette da Gino Tanasini.
Teatrone da tutto esaurito e bel successo.

*** (“Tosca” sarà in scena al Teatro Carlo Felice di Genova fino al 12 maggio 2019 (il 4 maggio alle 15.30, il 5 alle 15.30, il 7 alle 20 e il 12 alle 15.30).

One thought on ““Tosca” a Genova: la raffinatezza di Valerio Galli (sul podio) e la godibile regia di Andrea Cigni. Le voci: Torre sostituisce Aronica (indisposto) e fa il bis, solida Maria José Siri, Gazale (Scarpia) fra passione e crudeltà, eccellente Didier Pieri (Spoletta). La recensione di Fulvio Venturi

  • Dettagliata analisi di tutto lo spettacolo, nella quale i tempi asciutti dell’esposizione rimandano a una competenza non avvinta da emozioni.
    Stupefacente il cappello introduttivo che fa venir voglia di saper tutto di questa vita vissuta per l’arte, operistica e non solo. Attendiamo il libro che narra l’anima di una passione, dott Venturi.

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