SPECIALE MASCAGNI / 1. Aspettando il compleanno del 7 dicembre (con un articolo di Fulvio Venturi)

di Elisabetta Arrighi

Si chiamava piazza delle Erbe. Oggi si è trasformata in piazza Cavallotti, ma le “erbe”, ovvero la frutta e le verdure, continuano a venderle i numerosi banchi di ambulanti che ogni giorno, ad eccezione della domenica, animano lo spiazzo compreso tra via Grande e il Mercato Coperto, nel centro di Livorno. In questo luogo, in un palazzo che diversi anni fa è stato abbattuto per lasciare il posto ad un condominio moderno color mattone, lanciò il suo primo vagito Pietro Mascagni, figlio di uno dei più noti panettieri della città. L’evento è oggi ricordato con una lapide apposta sul condominio. Era il 7 dicembre del 1863 e Pietro ne avrebbe fatta di strada. Dopo il ginnasio scelse la musica e diventò il compositore che tutti conosciamo. La sua opera più famosa resta  la “Cavalleria rusticana” il cui Intermezzo mi suggerisce l’andirivieni delle onde mentre accarezzano gli scogli di CalafuriaAnche se la vita professionale portò Mascagni fuori Livorno, da Cerignola a Roma, senza dimenticare i viaggi all’estero, la sua città natale – dove lui tornava spesso (è sepolto a Livorno, nel cimitero della Msericordia) – lo ricorda sempre con grande affetto. Guai a toccare Mascagni ai livornesi, che anche quest’anno – il giorno del compleanno, cioè il 7 dicembre 2016 – potranno assistere ad un evento che ricorda il compositore. Quella sera, alle ore 20.30, l’appuntamento è al Teatro Goldoni dove Verismo Opera Studio 2016 con il Rotary Club Livorno presenta “Lodoletta tra Mascagni e Puccini”, una selezione dal dramma lirico in tre atti di Giovacchino Forzano con musica di Pietro Mascagni. Seguirà “Il tabarro”, opera in un atto di Giuseppe Adami da “La Houppelande” di Didier Gold, musica di Giacomo Puccini. Direttore Fabrizio Da Ros, regia di Daniele De Plano, Orchestra Filarmonica Pucciniana.

In attesa del 7 dicembre 2016, anniversario della nascita del compositore livornese, ecco la prima parte di uno speciale dedicato a Pietro Mascagni da parte del sito www.toscanaeventinews.it. Di seguito un articolo di Fulvio Venturi, scrittore e critico musicale, che racconta e approfondisce il legame di amicizia fra Puccini e Mascagni (nella foto grande sopra al titolo).

di Fulvio Venturi

Giacomo Puccini e Pietro Mascagni furono grandi amici, questo è noto, ma non tutti sanno in qual misura lo siano stati. Leggete ad esempio quanto scrisse Mascagni alla moglie… 

“… Puccini […] è addirittura pazzo per questo mio successo; quando lesse il mio nome nei giornali, mi fece subito un telegramma a Roma […] Giacomo mi vuole sempre bene. Egli è certo del mio trionfo […] mi ha condotto a casa sua, mi ha regalato lo spartito dell’opera sua Edgar, di cui mi ha suonato molti pezzi (che musica!) e poi ha voluto sentire la mia Cavalleria […] Giacomo ne è rimasto entusiasta. Vi ha trovato forza, drammaticità ed una novità assoluta. Trova l’originalità un poco spinta, ma dice che si sente bene che questa originalità non è ricercata e che sorge spontanea. Egli è sicuro del successo […].”

Questo avveniva nella primavera 1890, prima ancora che Cavalleria rusticana andasse in scena. L’amicizia Giacomo e Pietro era iniziata otto anni avanti, quando i due giovani, diciannovenne Mascagni e ventiquattrenne Puccini, s’incontrarono durante l’anno scolastico 1882/83 del Regio Conservatorio di Milano, diretto da Amilcare Ponchielli, al quale entrambi i musicisti devono qualcosa. Puccini, la scapigliatura delle Villi e di Edgar, se non quel “settecento” di Manon Lescaut che tanto guarda a Marion Delorme; Mascagni, la pletora dei sentimenti mai addomesticata, un gioire delle proprie esternazioni che ricorda le “feste e il pane”, “il volo dei palombi, i marmi e l’or” della Gioconda. Fra i due ragazzi, entrambi toscani, entrambi orbati di affetti familiari, il padre a Giacomo, la madre a Pietro, nacque un’amicizia spontanea e per qualche tempo essi condivisero addirittura l’alloggio in Vicolo San Carlo. La letteratura sul loro sodalizio, oggi quasi dimenticata, riporta numerosi aneddoti. Qualche biografo più o meno improvvisato ha riferito persino che essendo quello il periodo in cui Puccini componeva Le Villi, e Mascagni avesse iniziato Guglielmo Ratcliff, sia l’uno che l’altro abbia apposto qualche nota sulla partitura dell’amico. Non lo crediamo possibile, tanto era l’orgoglio che li animava, ma è sicuro che, oltre ai sogni e alle speranze, durante la composizione di questi loro lavori, i due giovani si siano scambiati anche qualche idea musicalemascagnigiovane. L’amicizia non si sciolse quando Mascagni (nella foto a lato un’immagine giovanile) e Puccini uscirono dal conservatorio per prendere strade diverse. I due amici rimasero in contatto e Mascagni esultò sinceramente per l’affermazione che Puccini colse con Le Villi, rimanendo entusiasmato al punto di suonare continuamente l’opera quando si trovava a casa fino al puto di mandarla a memoria. Poi, giunto a Cerignola come direttore d’orchestra di una compagnia d’operetta e intravista la possibilità di stabilirsi nella cittadina pugliese con un impiego maggiormente sicuro e redditizio, non esitò a chiedere a Puccini, abbastanza noto dopo il successo delle Villi, una lettera di presentazione che attestasse la loro antica amicizia e le ottime attitudini musicali del livornese. E tale lettera figurò, insieme con quelle dei vecchi insegnanti del conservatorio, tra gli attestati che consentirono a Mascagni di ottenere l’ambita occupazione di direttore della Filarmonica e della Scuola di Musica di Cerignola.

Giacomo e Pietro s’incontrarono nuovamente a Napoli in occasione della produzione al Teatro San Carlo delle Villi (15 gennaio 1888), dove Mascagni si recò espressamente per assistere alla prima rappresentazione dell’opera, e fu un rinnovarsi di fraterni sensi. I contatti continuarono e quando Mascagni, con Cavalleria rusticana, sbaragliò il campo dei contendenti e volò in finale del Concorso Sonzogno, Puccini, come abbiamo letto, fu il primo a complimentarsi.

pucciniMascagni e Puccini (nella foto a lato) quando erano insieme trovavano anche il modo di dare spettacolo. Ad entrambi non faceva difetto la simpatia e durante le occasioni ufficiali alle quale erano invitati ad uno stesso tempo, trovavano anche il modo di far baldoria, come accadde nel 1893 alla Famiglia Artistica milanese, per una festa in onore di Giuseppe Verdi, subito dopo che alla Scala era andato in scena Falstaff ed a Torino Manon Lescaut.  Davanti ad una platea costituita dallo stesso Verdi, da Giulio Ricordi, Arrigo Boito, Bazzini, Matilde Serao, da Angelo Morbelli, Vittore Grubicy de Dragon, Emilio Gola, Giuseppe Mentessi, dunque la crème della cultura italiana e della Scapigliatura lombarda, i due s’inventarono questo siparietto, di cui ancora Mascagni informò epistolarmente la moglie: “[…] Fui obbligato a cantare e suonare: feci sentire la romanza del tenore nella Vistilia (l’opera che non portò mai a compimento) ed ebbi un’accoglienza straordinaria. Poi fu pregato Puccini di far sentire qualcosa della Manon; ma siccome Puccini non sapeva cantare, mi offersi io come cantante (è noto che Mascagni aveva uno splendido “falsettone”, talvolta udibile anche in teatro durante le sue prestazioni direttoriali) e feci un fanatismo. In una frase acutissima levai un effetto così bello che tutti mi fecero un’ovazione. […] Sembravo una donna; e siccome ho la faccia senza peli credetti bene di fare osservare che ho già tre figli, acciocché non si facessero supposizioni circa il mio sesso […].” Roba da anticipare… La Bohème!

lemaschereI rapporti rimasero fraterni per tutto l’Ottocento. Mascagni presenziò alle prime di Puccini, e viceversa. Oltre alla musica, passione comune per la buona tavola e per le belle donne, per l’eleganza nel vestire. Non potremmo dire tuttavia che le cose rimasero tali per tutta la vita, anzi, sappiamo che qualche cenno di rivalità, anche ampio, si fece luce fra loro, quando entrambi conquistarono la celebrità. Lasciamo perdere le voci che accusarono Mascagni di aver messo una bomba in teatro durante la prima di Tosca. Questa è da ridere. Invece pare che Puccini, come quasi tutti fecero, non abbia risparmiato critiche a Le Maschere e sicuramente Mascagni rispose aggiungendosi al coro dei denigratori di Madama Butterfly, tanto che attorno al 1906 i contatti erano nulli. Però da questo stato emergeva anche amarezza ed entrambi accusavano le rispettive consorti d’aver soffiato sulle fiamme delle polemiche. Sorridiamo anche su questo.

L’amicizia tuttavia continuava a covare tra la cenere e nel 1910, mentre Puccini preparava La Fanciulla del West e Mascagni Isabeau, come per incanto tornò a ravvivarsi. Entrambe le opere dovevano essere rappresentate a New York nello stesso periodo (fa niente che poi Isabeau, dopo una lunga vicenda legale, sia stata dirottata su Buenos Aires) e prima che i due musicisti si recassero oltremare s’incontrarono a Roma. Mascagni suonò la “canzone del falco” e l’intermezzo dalla sua nuova opera e Puccini alcune pagine dalla Fanciulla del West. Entusiasmo non d’occasione, baci ed abbracci e, scherzosamente, l’augurio di ritrovarsi all’altro mondo.

La loro amicizia vera, reale, tuttavia, non s’incrinò neppure quando entrambi, attorno al 1915, ebbero a sfidarsi a colpi di fogli da mille lire per assicurarsi i diritti per la riduzione a libretto d’opera del romanzo Two little wooden shoes (Due zoccoletti) di Maria Louise de la Ramée, ovvero Ouida, strana scrittrice inglese morta a Massarosa nel 1908 coperta dai debiti. Diremmo che Mascagni vinse per abbandono, poiché Puccini, dopo che Ricordi si aggiudicò tali diritti, rinunciò a comporre l’opera, che diventò invece la Lodoletta del livornese.

Ancora qualche incontro, qualche pranzo, privato o ufficiale, e giunse il tempo delle lacrime. Era a Vienna per un lungo contratto alla Staatsoper, Mascagni, quando fu raggiunto dalla notizia della morte di Puccini.

“Puccini è morto! Io non so che cosa dire: non ci posso credere! È morto stamattina a Bruxelles. Aveva un cancro, ma è morto per crisi cardiaca. Avevo telegrafato ieri a Bruxelles […] pareva che stesse meglio. Ora l’Ambasciatore mi ha telegrafato che è morto stamattina alle 11. […] E’ un grande dolore […].

E in quel preciso momento il pensiero di Mascagni corse a Turandot, l’opera che Puccini stava componendo quando sopraggiunse la morte, perché la lettera ad Anna Lolli, l’amante di una vita, continua così Povero Giacomo!… Povero Giacomo! Ora che doveva finire l’opera nuova […]”

bohemePassò qualche altro anno e Mascagni partecipò sempre in prima persona ad ogni atto ufficiale che ancora riguardasse l’amico di sempre, poi Giovacchino Forzano, librettista di entrambi ebbe una buona idea. Commemorare Giacomo Puccini a Torre del Lago, accanto alla villa dove il musicista aveva vissuto, aveva composto le sue musiche. Al tramonto, di fronte a quelle acque che Puccini tanto aveva amato, con una rappresentazione della Bohème, il capolavoro della gioventù. Direttore d’orchestra, Pietro Mascagni.

Mascagni accettò, e fu una serata magica. Prima di alzare la bacchetta Mascagni disse qualche parola. Non fu un discorso di quelli che talvolta teneva, specie in quel periodo, ampolloso, quasi roboante. Pronunciò proprio qualche parola appena, ma di quelle vere. Testimone della serata è ancora una lettera alla amata Anna. E pare quasi di sentirlo con quel suo franco accento livornese, la erre appena arrotondata, il timbro ombreggiato… “dissi che tutti eravamo riuniti per rendere onore e devozione a Giacomo Puccini, la cui memoria resta nel nostro cuore; in questo lembo di terra fu concepita e scritta la Bohème. […] Invitai tutti a raccogliere lo spirito per un minuto[…] Dopo le mie parole, tutti, rimasero in piedi, silenziosi, mentre ogni luce si era spenta.”

Trascorso il minuto di raccoglimento le luci di scena si riaccesero sulla Bohème, l’opera della giovinezza. E questo ci sembra proprio l’omaggio di un amico.