Renaissance rossiniana al Goldoni di Livorno con un allestimento gioioso, spigliato ed elegante dell’Italiana in Algeri. Strepitosa Laura Verrecchia, ottime le altre voci femminili. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Livorno vanta una lunga tradizione rossiniana, iniziata nel 1815 con Tancredi (al San Marco) e dipanatasi per tutto l’Ottocento con reiterati allestimenti tanto delle opere serie quanto di quelle comiche del pesarese, da Ciro in Babilonia alla Donna del Lago, da Semiramide a Guglielmo Tell, dall’Assedio di Corinto a Otello, dal Turco in Italia alla Gazza Ladra, oltre al più ovvio Barbiere. Dati interessanti giungono anche dal Novecento con la ripresa del Mosé, auspice un fervente rossiniano come Pietro Mascagni alla vigilia della prima guerra mondiale – protagonista Nazzareno de Angelis – e i passaggi di strepitosi Figaro come Benvenuto Franci, Carlo Galeffi, Gino Bechi e Renato Capecchi, così come affascinanti Rosine quali Elvira de Hidalgo, Ada Sari, Lina Pagliughi, Toti dal Monte, Gianna d’Angelo. L’Italiana in Algeri non si sottrae a questa tradizione con sette produzioni a seguire la prima, data al Teatro degli Avvalorati nel 1817 e capitanata dalla celeberrima Marietta Marcolini, creatrice della parte d’Isabella. E si deve ricordare che ancora Pietro Mascagni inserì la sinfonia di quest’opera nel programma di un suo concerto livornese con l’orchestra dell’Augusteo tenutosi nei giardini dell’Albergo Palazzo nell’agosto 1936.

La presente produzione dell’Italiana in Algeri ha assunto dunque e quasi per intero l’aspetto della renaissance. Diremo subito bella produzione, gioiosa, spigliata ed elegante nella regia di Emanuele Gamba, direttore artistico della Fondazione Goldoni, colorita, essenziale, sobria nelle scene di Massimo Checchetto, vagamente accennante al cinema nei costumi di Carlos Tieppo. L’opera è stata allestita in coproduzione con SNG Opera Ljubljana e a sottolineare l’interesse per questo connubio internazionale, l’ambasciatore sloveno in Itala Matjaž Longar è sceso a Livorno per presenziare alla serata.

In palcoscenico una strepitosa Laura Verrecchia ha destato ammirazione  per dominio tecnico, personalità e comunicativa. Dopo aver presentato una credenziale già di alto livello con Cruda sorte, relativa cabaletta Qua ci vuol disinvoltura e con il susseguente duetto con Taddeo Ai capricci della sorte ornato da nitidissimi sillabati, Laura Verrecchia ha calato un indimenticabile atout con una delle più belle Pensa alla Patria che mi sia stato dato ascoltare. Abramo Rosalen, Mustafà, dopo aver mostrato qualche impaccio nei legati-staccati a freddo nell’aria di sortita è andato sempre in crescendo e ha risolto brillantemente, con ottima voce, i passi più difficoltosi del finale. Brillantezza e misura hanno caratterizzato la prestazione di Paolo Ingrasciotta come Taddeo e Alberto Comes è stato un sonoro e sarcastico Haly, giustamente applaudito nell’aria “del sorbetto” Le femmine d’Italia. Molto bene anche Yulia Merkudinova, dallo svettante registro acuto, una Elvira pressoché perfetta e Diana Turtoi, dalla corposa vocalità centrale, altrettanto a suo agio come Zulma. Un gradino al di sotto dei colleghi è parso assestarsi il tenore Bryan Lopez Gonzales alle prese con l’ardua vocalità del soave e spinosissimo Lindoro.
Bene, al netto di qualche attacco un po’ smangiucchiato, il coro (qui solo nella sezione maschile) della Fondazione Goldoni guidato da Maurizio Preziosi. Nel complesso buona la prestazione dell’Orchestra della Fondazione Goldoni misuratasi con un autore non poi così “uso mano” diretta dal maestro Marko Hribernik che aveva concertato e ha tenuto ben saldo lo spettocolo, pur senza grandi voli di fantasia. Forse non sarebbero dispiaciute dinamiche più accentuate. Buon successo, ovviamente.

Quasi, quasi, adesso, si sentirebbe la voglia di un bel rossinone serio. Buona giornata.