Piccolo Teatro Bolognini di Pistoia: la stagione di prosa propone come primo titolo “Padiglione 6” tratto da un racconto di Čechov. Regia di Roberto Valerio, selezionati cinque giovani attori dopo un laboratorio di due mesi
Per l’apertura della stagione in abbonamento del Teatro Manzoni, al Piccolo Teatro Bolognini di Pistoia ha debuttato il 20 ottobre, con repliche dal 23 al 27, e poi il 30 e 31 ottobre / feriali ore 21, festivi ore 16) Padiglione 6, tratto da un bellissimo, commovente racconto di Anton Čechov.Nuova produzione dell’Associazione Teatrale Pistoiese, vede rinnovarsi la collaborazione con il regista Roberto Valerio, che ha già firmato, per il teatro pistoiese, spettacoli di grande successo come Il Vantone, L’impresario delle Smirne, Casa di Bambola e il più recente Tartufo. (Le fotografie di scena sono di Gabriele Acerboni).
- Padiglione 6 nasce da un lungo e intenso laboratorio teatrale. Per 60 giorni, 12 giovani attori neodiplomati under30 dell’Accademia Profesionale Ludwig di Roma, hanno lavorato insieme a Roberto Valerio, all’insegnante di educazione del corpo Andrea Pangallo e alla ballerina-coreografa Valeria Andreozzi, sulla struttura drammaturgica del testo e le sue implicazioni sceniche, sul rapporto tra i personaggi, su improvvisazioni a tema con e senza musica.
Al termine del laboratorio sono stati selezionati cinque di loro (Jacopo Angelini, Rosario Buglione, Pietro Cerasaro, Davide Locci, Paolo Oppedisano) che vanno a completare l’eccellente cast dello spettacolo, composto da Martino D’Amico (già apprezzato interprete ne La Signorina Else di Schnitzler, coprodotta dall’Atp), Carlo Di Maio e Luigi Di Pietro. I costumi sono di Serena Furiassi, le luci di Emiliano Pona.
“Uno spettacolo forte, contemporaneo – commenta Roberto Valerio – sulla deriva degli ultimi, sull’emarginazione sociale, sulla violenza dell’uomo sull’uomo, sulla follia umana… Uno spettacolo poetico con tinte sinistre, dove i tratti lievi e grottescamente divertenti dei teneri pazzerelli, si confondono con il loro tragico vivere quotidiano della reclusione.”
Nel 1890 Čechov compie un lungo viaggio con destinazione la colonia penale di Sachalin. In qualità di medico, compie un censimento dei detenuti e delle loro condizioni di salute, ma assiste anche alle violenze e alle torture a cui questi sono sottoposti. Il risultato di questa esperienza sarà un reportage di viaggio dal titolo L’isola di Sachalin, dove l’autore non può fare a meno di provare un certo disgusto verso le condizioni disumane dei detenuti. L’esperienza rieccheggia come un’eco nella mente dell’autore e si protrarrà anche nel racconto Il padiglione numero 6.
In questo commovente testo, Čechov ci presenta un piccolo padiglione psichiatrico di un ospedale di provincia dove sono internate cinque persone trattate come bestie. Testimone di queste violenze è il dottor Andrèj Efimyc che, pur desiderando ribellarsi a questa situazione di degrado, decide di sopportare tutto stoicamente. Andrèj vive una vita in solitudine, che trova il suo antidoto nella letteratura (…). La sua solitudine viene interrotta dall’incontro con Ivan Gromov, il più giovane dei pazienti. Affetto da un delirio persecutorio, costui incarna il ruolo del folle visionario: “Il suo discorso è disordinato, febbrile, come un delirio, a scatti e non sempre comprensibile, ma vi si sente, e nelle parole e nella voce, qualcosa di straordinariamente buono. Quando parla, riconoscete in lui il pazzo e l’uomo. Parla egli della bassezza umana, della violenza che calpesta il diritto, della vita bellissima che col tempo ci sarà sulla terra, delle inferriate alle finestre che gli ricordano ad ogni minuto la stupidità e la crudeltà degli oppressori….”
Qual è l’illuminazione che sorprende il dottor Andrèj Efímyc? La scoperta che un uomo, sepolto in uno squallido ospedale psichiatrico, ha una speranza riposta nel futuro e ama la vita, che un folle nutre ideali che la grigia normalità rimuove, ritenendole sciocchezze da bambini, e ha un’apertura, un senso della vita integro e tormentoso.
Il dottor Andrej rimane sorpreso dalla brillantezza e dalla vivacità di Gromov, portandolo così a parlare ogni giorno con lui. Tuttavia, la cosa non è vista bene dal personale dell’ospedale e, alla fine, il dottor Andrèj si ritrova lui stesso ‘paziente’ del Padiglione e vittima del trattamento disumano cui sono sottoposti gli altri pazienti. E in questa catarsi, in questo tragico ribaltamento ed ‘evoluzione’, ora è in grado di rendersi conto ciò che subisce il malato, come egli si senta spaesato e come vi sia totale assenza di rispetto nei confronti di un altro esser umano in difficoltà.
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