Modena, un “Otello” (in coproduzione con il Teatro di Piacenza) al meglio delle possibilità odierne. Un cast vocale di prim’ordine e la lettura energica e attenta alle dinamiche sonore del giovanissimo direttore Leonardo Sini. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Mai mi stancherò di cantare le lodi della “provincia”. Mai. Vai a Modena e ti trovi davanti un Otello montato in copriduzione dal Teatro di Piacenza al meglio delle possibilità odierne. Orchestra smagliante, coro memorabile, cantanti eccellenti. 

Primeggia la lettura di Leonardo Sini, giovane direttore poco più che trentenne (è nato nel 1990), scattante, elastico, energico, attento alle dinamiche sonore (non lesina sui decibel quando è il caso, non esita a spegnersi a zero nel notturno del primo atto e nella presaga rassegnazione della canzone del salice) e soprattutto ha sempre in mano l’orchestra e il palcoscenico. A proposito dell’Orchestra è solo da lodare in questa occasione la compagine regionale emiliana “Arturo Toscanini”.

Sini ha anche avuto a disposizione una distribuzione vocale di prim’ordine, a partire dal magnifico coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati e dal coro voci bianche Nicolini (sempre di Piacenza) diretto da Giorgio Ubaldi. Bellissima l’apertura dell’opera, il “Fuoco di gioia”, il saluto alla Repubblica Veneta e addirittura memorabile la “marinaresca” del secondo atto, dove le voci bianche si uniscono al coro adulto.

Gregory Kunde imposta il suo Otello senza titanismi, puntando sullo squillo del registro acuto e sulla correttezza della emissione, facendo emergere un personaggio generoso e sanguigno senza, forse, il lampo dell’interpretazione ispirata. Ispirazione che invece non fa difetto a Luca Micheletti, uno Jago spavaldo e demoniaco sostenuto da una recitazione di gran livello. Un personaggio estroverso, brillante, logico e spietato che sembra uscire dal quaderno della disposizione scenica verdiana. E non sapremmo rivolgere ad un interprete di Jago encomio più alto. Francesca Dotto ha firmato una prestazione di classe, aulica e pure partecipe, che ha trovato nel tragico quarto atto momenti di commovente lirismo. Bene tutti gli altri, dal freschissimo Cassio di Antonio Mandrillo all’autorevole Lodovico di Mattia Denti, dal sonoro Montano di Alberto Petricca all’inquieto Roderigo di Andrea Galli, così come Sayumi Kaneko, Emilia, ed Eugenio Maria Degiacomi, Un Araldo, non hanno lasciato a desiderare.

Italo Nunziata (scene Domenico Franchi, costumi Artemio Cabassi, luci Fiammetta Baldiserri) ha presentato uno spettacolo didascalico, luminoso, ma senza segni di particolare originalità.

La coproduzione oltre al capofila Teatro di Piacenza e a Modena ha coinvolto la Fondazione Teatri di Reggio Emilia e la Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara.

Successo molto vibrante.