Intimistica, meditativa, innovativa: l’Aida diretta da Riccardo Muti riporta l’Arena di Verona ai grandi fasti. Una serata bellissima con gli ottimi Eleonora Buratto e Azer Zada. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI
Chi ricordasse le Aide mutiane di un tempo, sonore, ritmiche e innervate, rimarrà forse spiazzato. Riccardo Muti dà ora vita in questa versione in forma di concerto ad un’Aida intimistica e meditativa, dove il suono spesso si rarefà privilegiando l’armonia alla melodia, ovvero evidenziando il disegno di una partitura certamente ricchissima, ma soprattutto raffinata.
Riccardo Muti
Una visione che si percepisce fin dal preludio, una poetica onirica dove “Celeste Aida” è un soliloquio d’amore, il Tempio di Vulcano il sogno del guerriero, “O cieli azzurri” il rimpianto di un’età irrecuperabile, il giudizio di Radamès è soprattutto il pianto di una donna sola e il finale un sublime e purissimo canto funebre. In questa ottica persino la scena del trionfo ha un che di onirico dove i decibel lasciano il passo al colore ed alla precisione. Si tratta di un’Aida innovativa, della quale non abbiamo ricordo, almeno fra le esecuzioni dal vivo e all’aperto. Persino i tempi di Muti, una volta del tutto dediti alla speditezza narrativa, hanno perduto quella celerità un un po’ brusca che li caratterizzava, pur mantenendo rigore e accuratezza. Fra i momenti indimenticabili della serata sicuramente il modernissimo disegno degli archi che apre il terzo atto, dove il paesaggio diventa musica astratta, magnificamente sottolineato da Muti.
Eleonora Buratto
La protagonista vocale, Eleonora Buratto, debuttante nella parte, ha delineato un’Aida perfettamente integrata con la poetica del Maestro, di alta qualità. Il suono sempre bello, levigato, non privo di una sua opulenza e di una sua ricchezza di armonici, il registro acuto saldo. Uno splendido do sovracuto, “mezzo forte”, ha coronato i suoi “Cieli azzurri”, ma quello che ha colpito in una cantante ancora molto giovane che per la prima volta si misurava con questo personaggio tanto complesso sia dal lato interpretativo che tecnico è stata l’omogeneità dell’interpretazione e l’eleganza della prestazione. Al suo fianco il tenore Azer Zada si è mosso in una stessa unità espressiva. Ha dato un “Celeste Aida” tutto giocato sul filo della mezza voce, seguendo con la massima attenzione, ma anche con naturalezza, le indicazioni verdiane fino ad un “morendo” sul terzo ed ultimo si bemolle di rara bellezza. Nel finale dell’opera, insieme con Eleonora Buratto, ha prodotto una serie di suoni, ora perlacei, ora di rassegnata dolcezza, rari a sentirsi. Un “addio alla Terra” davvero da antologia. Altrove, nei luoghi della partitura, ovvero nella grande scena del Nilo e parzialmente nella vestizione guerriera nel Tempio di Vulcano, Zada ha denunciato una certa carenza di squillo e forse un peso specifico vocale non esattamente “da Radamès”, ma questo cantante è agli albori di una carriera che si annuncia molto interessante.
Fra gli altri componenti del cast, Anna Maria Chiuri, che già aveva cantato alla prova generale, si è battuta con onore per non far rimpiangere Anita Rachvelischvili (indisposta) riuscendovi però solo a tratti, Ambrogio Maestri è parso in difficoltà nella “sortita” di Amonasro, Riccardo Zanellato ha presentato un Ramfis di buona linea vocale, ma non troppo incisivo e Michele Pertusi è stato un Re dalla forbita eloquenza. Bene Riccardo Rados negli insidiosi panni del Messaggero e bene Benedetta Torre nei ripetuti melismi della Sacerdotessa. Il coro (Maestro Vito Lombardi) ha forse sofferto un poco nella compattezza del suono a causa del distanziamento imposto delle regole anti-covid, ma la sua prestazione è stata comunque di ottimo livello. Orchestra in gran forma. Serata bellissima che ha riportato ai fasti areniani di tanti anni fa con lunghe acclamazioni e persino striscioni da stadio inneggianti a Riccardo Muti. Fuori dell’Arena, l’incanto di una città bellissima in una notte di prima estate.