Il mondo di Vittorio Armellino, l’artista riservato che custodiva in casa un piccolo tesoro di creatività. Dal 19 aprile una mostra a Firenze

di CANDIDA VIRGONE

Un maestro del colore, un amante dell’arte a tutto tondo, sotto le più svariate forme, una personalità poliedrica che ha spaziato dalla pittura al disegno fino alla musica e alla danza. E’ stato senza dubbio tutto questo Vittorio Armellino, artista riservato e schivo, autodidatta, poco noto, che ha fatto dei piccoli tesori prodotti con le sue mani un bene da fruire per sé qualcosa di cui circondarsi senza dividerla con tanti, riservandola a pochi amici e alle poche persone con cui amava condividere un’esistenza defilata. Modestia? Riserbo? Un amore così sviscerato per le cose che era capace di comporre da portarlo ad un difficile distacco? Forse tutte e tre le possibilità, scelte che hanno indirizzato senza dubbio ad una circolazione ristretta delle sue creazioni, vere note di colore nello spazio.

Oggi ci sono tre persone che, invece, seppure non lo abbiano conosciuto, questa sua arte vogliono farla conoscere ad un pubblico più vasto: sono Vincenzo Giorgetti, e Maddalena e Giovanna Cavina, tre fiorentini che in Armellino si sono imbattuti per caso dopo la sua morte. Per questo hanno deciso di organizzare una mostra dedicata al suo ricordo, un modo per dargli forse quello che in vita questo artista non ha potuto avere, la possibilità di farsi apprezzare attraverso poche tracce, quelle rimaste della sua esistenza nascosta eppure piena di amore per l’arte, la poesia, la danza.

Ermellino (nella foto a sinistra, sopra il titolo una coppa con i fiori) era nato a Milano a fine Anni Trenta ed è scomparso a Firenze, sua città di adozione, a fine 2015. Alla sua morte la sua casa, zeppa di opere d’arte – a partire dal suo letto, interamente scolpito da lui e meravigliosamente romantico – ha destato stupore per la sua creatività a chi ha avuto il compito di svuotarla. Agli occhi del visitatore è apparso una sorta di Vittoriale in miniatura che smantellare è sembrato poco piacevole e quasi sacrilego, come svuotare l’armadio di un’anima sconosciuta ma che appare sensibile e gentile, romantica e piena di creatività, capace per questo di toccare le corde del cuore. Così, buona parte di quel piccolo tesoro di oggetti raffinati raccolti con accuratezza, buona parte dei suoi quadri, dei suoi abiti, a partire da originali gilet dipinti a mano degni della più haute couture, buona parte dei suoi arredi, sono stati trasferiti da uno dei tre volenterosi “amici” comparsi dopo la sua morte, Vincenzo Giorgetti, in una casa di campagna dove è stato ricostruito il suo mondo. L’idea, si diceva, era quella di fare, un giorno, una mostra che rendesse ad Armellino quel che in vita gli era, secondo Vincenzo, Giovanna e Maddalena, mancato: e cioè l’occasione di organizzare un vernissage completamente dedicato al suo senso artistico e al suo gusto raffinato. Ora le sue opere sono state nuovamente riunite, la mostra è pronta e si farà. L’appuntamento è per mercoledì 19 aprile 2017 alle 17, a Firenze: la location è il negozio di Vincenzo Giorgetti, in via Cimabue (angolo via Gioberti).

Adolescente, Armellino visitava spesso la Galleria di Brera, come racconta lui stesso in un breve scritto. Amava copiare opere di Bernardino Luini, Piero della Francesca o Raffaello concentrandosi fin dall’inizio sui dettagli: mani, visi, luoghi, piante, fiori…. “Non sono copie – amava dire – ma dettagli alla maniera di Vittorio…”. Sfollato con la famiglia a Trecate, conosce una discendente di Fragonard che lo fa appassionare ancora di più alla pittura. In quel periodo Armellino partecipa anche alla Schola Cantorum di Trecate e, facendo la spola con Milano, alle lezioni di danza – è stato anche ballerino – di Maria Cumani, moglie di Salvatore Quasimodo. Negli Anni Quaranta si trasferisce, avendo sempre nel cuore la sua amata pittura, da una zia a Firenze, dove resterà per tutta la vita. L’osservazione della vita in tutte le sue forme è il tema della sua pittura, attraverso tutte le tecniche (olio, tempera, pastelli, gessetto, matita) e sui materiali più diversi (tela, carta, vetro, legno). Negli anni fondò anche, insieme ad un gruppo di docenti di storia dell’arte, un piccolo circolo frequentato da giovanissimi autori e studenti, per lo più americani, incentrato in particolare sull’arte fiorentina del Cinquecento. Arricchendosi, pezzo dopo pezzo, di capolavori antiquari e delle sue tante opere, la sua casa, al numero 12 di via della Vigna Nuova, diviene, come lui stesso racconta in un suo scritto, “il proprio eccelso rifugio di poesia, una mostra permanente di pittura per chi ama l’arte, ispirata all’abitazione di Eugene Delacroix e all’atelier di Gustave Moreau”. In questa casa vivrà per ben mezzo secolo.

La sua esistenza si conclude nella Cooperativa sociale Fontenuova, di cui fu anche socio fondatore e all’interno della quale stava progettando una mostra che purtroppo non fece in tempo a realizzare e che quindi non ebbe mai vita. Il suo desiderio diverrà realtà il prossimo 19 aprile a Firenze. L’artista Mario Francesconi lo definisce un “autodidatta senza influenze scolastiche, la cui chiave di lettura è nelle suggestioni, un animo letterario, teatrale, melodrammatico, magico, romantico, una persona raffinata che nella pittura ha trovato la sua terapia al disagio di un’esistenza non facile”.