MASCAGNI FESTIVAL. Una “Cavalleria rusticana” sospesa fra il mare, il cielo notturno e le tamerici. Sonia Ganassi e la sua Santuzza di stampo belcantistico, poi Denys Pitnivsky (un solidissimo Turiddu), Luca Bruno (compare Alfio) e Francesca Maionchi nel ruolo di Lola. La recensione (e alcune riflessioni) di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI
Una folla strabocchevole ha accompagnato le giornate finali della terza edizione del Mascagni Festival che come serate “clou” ha previsto una produzione di Cavalleria rusticana in riva al mare, su quella terrazza che, oltre a rappresentare il salotto della città di Livorno, s’intitola proprio a Pietro Mascagni. (Le foto relative alla Cavalleria rusticana per il Mascagni Festival sono di Augusto Bizzi, ad eccezione dell’immagine sopra il titolo e delle altre due a seguire dopo il testo del post).
Molta attesa, atmosfera delle grandi serate.
Signore in lungo, fra gli uomini domina il blu. E viene in mente il Max Jacob dell’Honneur de la Sardane, “bleu de cravates bleues aux forain dépassants…”.
Bella serata estiva, che unisce l’interesse per l’evento all’occasione mondana; ma alla livornese, senza troppi formalismi.
Non è cosa semplice allestire un’opera in riva al mare.
L’opera si vede, ma soprattutto si ascolta, o quantomeno si vede e si ascolta.
Lo spazio libero, sia pure suggestivo, non favorisce la diffusione del suono.
Dunque amplificazione.
Per l’allestimento la scenografa Marina Conti ed il regista Danilo Capezzani hanno privilegiato il connubio con il luogo decontestualizzando la collocazione librettistica di “Cavalleria rusticana”.
La scena è composta da un’ampia scalinata che può ricondurre al barocco siciliano, – mi ha fatto pensare a Palma di Montechiaro -, racchiusa da una spalletta che ripete lo stile architettonico della Terrazza Mascagni. Durante l’esecuzione dell’opera, nell’intermezzo, non mancheranno neppure gli effetti di una mareggiata.
Costumi bianco candido, eleganti, con richiami alla moda Anni Trenta; Turiddu, Mamma Lucia, Alfio in nero; Lola in chemisier rosso con cappellino fiorito. Mamma Lucia con un ombrellino nero che malamente la ripara dalle intemperie e dalla sciagura.
L’opera si apre con le esequie di Turiddu, ed è un segnale forte, il più forte che giunga dall’allestimento insieme con quello per il quale il medesimo Turiddu muore più di vino che di coltello. Per il resto mi è parsa più stravaganza che creatività, con una gestualità che non si discosta da quella tradizionale.
La compagnia di canto è ben scelta e ruota attorno a Sonia Ganassi, la quale, pur combattendo con le difficoltà ambientali, mette in campo la sua Santuzza di stampo belcantistico, stilizzata rispetto ad una tradizione assai scarmigliata, ma anche partecipe e temperamentosa.
Accanto a lei il solidissimo Turiddu di Denys Pitnivsky, ancora un po’ brado (e un maggiore lavoro di concertazione avrebbe sicuramente giovato), ma resistente, squillante, arrogante, cospicuo che arriva con prestezza, con estrema facilità anche nei momenti più ardui (e non sono pochi) della partitura.
Luca Bruno offre una buona prestazione come Compar Alfio, disincrostando il personaggio di tutte quelle sedimentazioni trucibalde che la consuetudine teatrale ci ha consegnato, così come Francesca Maionchi (una Lola che rapisce anche l’occhio) e Mae Hayashi (Mamma Lucia) hanno risolto col canto e nel canto, con bella voce, le loro due ostiche parti. Una stessa valutazione assegniamo al diligente Coro del Teatro Goldoni di Livorno (direttore Maurizio Preziosi) e bene inquadrate le Voci Bianche e i Teens Singers della stessa Fondazione, affidati ad una esperta musicista quale Laura Brioli.
Tanta dovizia, insieme con l’eccellenza di Orchestra della Toscana, è stata consegnata a Roberto Gianola, maestro direttore e concertatore, che ha compiuto un lavoro anodino, fondato soprattutto su una lettura in sicurezza, ma senza particolare fascino, o inventiva, di questa tutt’altro che distesa partitura. Dobbiamo però convenire che l’amplificazione, forzatamente necessaria in un luogo del genere, ha teso ad appiattire le dinamiche esecutive e le diversità timbriche da interprete ad interprete con un effetto un po’ fastioso almeno negli spettatori di più lungo corso.
Al termine prolungati applausi, senza proprio quel fuoco della convinzione.
Personalmente ritengo che il Mascagni Festival abbia superato una sorta di esame di maturità, giungendo con un successo complessivo al terzo anno di attività. Il nome della manifestazione circola, per questa Cavalleria rusticana sono intervenuti spettatori giunti da ogni parte d’Italia, dalla Sicilia, come dal Veneto e dall’Emilia. Adesso è però necessario un più intenso lavoro di ricerca e di riproposizione sul catalogo e sulla figura di Pietro Mascagni, che sono certo, anche con la possibiltà di accedere ai finanziamenti del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), cosa che dovrebbe realizzarsi il prossimo anno, non mancherà.
A proposito del lavoro di ricerca questa produzione di “Cavalleria rusticana” ha avuto un prologo interessante nella serata del 29 agosto 2022, con la presentazione del libro “Le donne di Pietro Mascagni” (Curci editore) di Francesca Albertini Petroni. L’autrice, pronipote del musicista, ha realizzato una stimolante elaborazione articolata fra il racconto famigliare e gli eventi storici legati all’universo femminile (madre, fidanzate, moglie, amante maggiore, amanti minori, nipoti e pronipoti) che ha ruotato attorno al musicista livornese con esiti ispirativi tutt’altro che trascurabili e ancora vi ruota con devozione e affetto.
Seconda serata (31 agosto) in maggiore relax e della minore tensione hanno giovato tutti gli interpreti. La direzione del Maestro Gianola è risultata più coinvolgente e Sonia Ganassi ha ripetuto la sua splendida Santuzza. Denys Pitnivsky ha contenuto la spinta e l’ardore facendo intendere di avere molte, moltissime, possibilità di diventare un tenore memorabile, quindi, per finire Luca Bruno e Francesca Maionchi (ma quanto è brava questa ragazza) hanno rinnovato la loro convincente prestazione. Letizia de Cesari ha vestito i panni di Mamma Lucia.
Successo vibrante in una bellissima serata livornese sospesa fra il mormorio del mare e il verde delle tamerici.