FESTIVAL PUCCINI 2019 / 11. Brave Gianna Fratta (direttore d’orchestra) e Irene Cerboncini (Minnie) nella replica della Fanciulla del West. Era l’opera preferita di Adone Spadaccini (ex presidente del Pucciniano negli anni ’70) a cui Fulvio Venturi, autore dell’articolo, dedica la recensione

di FULVIO VENTURI

Seconda rappresentazione della Fanciulla del West a Torre del Lago con importanti cambiamenti nel cast: Gianna Fratta sul podio direttoriale ed Irene Cerboncini come protagonista.

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Gianna Fratta, che ha affrontato la difficilissima partitura pucciniana con un numero veramente esiguo di prove a disposizione ha convinto in ragione di un gesto molto chiaro, una esemplare attenzione al palcoscenico e ad una comunicativa degna di nota. La direttrice foggiana ha scelto di iniziare con misura nei confronti delle dinamiche, tuttavia stabilendo immediamente un giusto rapporto fra ordito orchestrale e le voci dei cantanti, magari attenuando alcune sonorità e non spingendo troppo sulla velocità esecutiva e c’è da capirla visto l’impegno che aveva davanti. Ma con il susseguirsi delle situazioni ha saputo mettere in valore i passi più roventi, più appassionati ed anche più complessi di questa splendida opera. Raramente in una esecuzione all’aperto abbiamo sentito tanta chiarezza, ad esempio, nella scena della posta, con i suoni onomatopeici in evidenza ma fusi all’interno dell’orchestra, oppure lo stagliarsi netto dell’oboe nella introduzione al momento d’amore che chiude il primo atto e abbiamo avvertito il sapore di una timbrica di derivazione wagneriana negli ampi arpeggi che sostengono quella pagina tecnicamente diabolica che è «Oh, se sapeste come il vivere è allegro». Tutto questo accanto a quei ritmi sincopati che qui sovente muovono la scrittura pucciniana. Diremmo che Gianna Fratta ha raggiunto la massima tensione in tutta la seconda parte dell’atto centrale, ivi inclusa la celebre partita a poker e nell’intero terzo atto con il magnifico concertato della redenzione. A lei è arriso un successo personale con applausi sinceri di tutto il pubblico.

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Irene Cerboncini ha invece dispiegato tutta la sua esperienza nell’affrontare il personaggio di Minnie che possiamo considerare il suo portrait-rôle. La cantante ligure ha dimostrato tutta la sua affidabilità, tutta la preparazione, la conoscenza di una parte straordinariamente difficile e variegata come quella di Minnie. In tale officio la ricordiamo sul palcoscenico del Giglio di Lucca, circa vent’anni fa, e diremmo che tutt’oggi quella Minnie abbia mantenuto le doti di tenuta e di robustezza vocale che allora la misero in luce. Al suo fianco  tutti hanno ripetuto le buone prestazioni della prima rappresentazione, il coro agli ordini del maestro Ardigò, il tenore Alejandro Roy, “Ramerrez”, che ha persino dato segni di miglioramento nel fraseggio rispetto alla prima rappresentazione, l’ampio stuolo dei “comprimari” dal quale ricordiamo Annunziata Vestri, perfetta Wowkle, Luca Bruno, ottimo Sonora e Marco Voleri, un trainante Harry, prezioso nelle scene d’assieme.

Ed ora il commiato. Per il primo anno il Festival Puccini non vede la presenza di Adone Spadaccini, sotto la cui presidenza, negli Anni Settanta del secolo scorso, la manifestazione pucciniana da provinciale che era assunse rinomanza internazionale. La Fanciulla del West era la sua opera preferita e a lui questa recensione si dedica.

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