“Cavalleria rusticana” al Maggio Musicale: lettura lirica e appassionata del direttore Valerio Galli, omogeneo il cast. Prima di Mascagni in scena l’operetta di Offenbach (Un mari à la porte). La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI
“Cavalleria rusticana” è tornata a Firenze in un nuovo allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in coproduzione con il Teatro Carlo Felice di Genova. Si è trattato di una buona messa in scena facente leva, per la parte visiva, sulla regia funzionale e non invadente di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi, le scene di Federica Parolini che ambientavano l‘opera in in paese vagamente spettrale non privo di fascino, i costumi di Agnese Rabatti e le buone luci di Luigi Biondi.
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Musicalmente abbiamo apprezzato la lettura lirica e appassionata di Valerio Galli, che a tratti ha richiamato alla mente la visione che di “Cavalleria rusticana” aveva Mascagni stesso. Il direttore viareggino restituisce di quest’opera un‘idea unitaria, musicalmente continua, quasi senza forme chiuse, dove persino il celebre intermezzo, troppo spesso visto come immagine iconografica a sé stante, risulta inserito nella narrazione della vicenda e nella luce della partitura. Fra i cantanti ha fornito prova convincente il tenore Angelo Villari, già noto in ambito mascagnano quale pregevole protagonista di “Guglielmo Ratcliff“ a Wexford, che ha disegnato un Turiddu ferrigno e scostante, generoso nei frequenti acuti, ma anche capace di sfumature ed alleggerimenti sia nella perorazione della sfida che nell‘Addio alla Madre.
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In linea con l‘interpretazione lirica di Valerio Galli la Santuzza di Alexia Voulgaridou che ricordiamo quale Suzel in una edizione triestina de “L’amico Fritz” nel 2012. Schietto soprano, Alexia Voulgaridou ha saputo eludere le difficoltà di una scrittura ibrida come quella della parte di Santuzza fondendo senza forzature i registri di testa e di petto e conservando anche una certo nitore nel registro acuto. Devid Cecconi ha presentato un Alfio senza raffinatezze nel solco della tradizione (e nel nome di quella tradizione troviamo dunque così lo spazio per rivolgere un memore pensiero a Giangiacomo Guelfi, Alfio nella nostra prima “Cavalleria rusticana“ al glorioso Comunale fiorentino, gennaio 1971). Essenziale e ruvido, di lui è piaciuta soprattutto la tenuta e la veemenza nel duetto con Santuzza. Elena Zilio ha realizzato un vero cammeo d’artista nell’interpretazione del personaggio di Mamma Lucia. Marina Ogii è stata Lola, e degna di nota nel grido “hanno ammazzato Compare Turiddu“, tragico suggello dell‘opera, ha ottimamente figurato Cristina Pagliai, artista del coro. Coro che tuttavia non sempre è parso irreprensibile ponendosi al di sotto della prestazione orchestrale, la quale, al netto di qualche fallo negli ottoni, è stata eccellente.
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La produzione di “Cavalleria rusticana“ è stata preceduta da quella di “Un mari à la porte“, operetta in un atto di Jacques Offenbach che si dava in prima esecuzione assoluta con l‘orchestrazione di Luca Logi, valentissimo e storico archivista del Teatro del Maggio. Complimenti a lui perché ha compiuto un lavoro raffinato. Nella pochade offenbachiana, allestita dagli stessi registi, scenografi, costumisti e datori luci dell’opera di Mascagni, ha ottenuto un successo personale Francesca Benitez, soprano acrobatico dalla facile e piacevole vocalità. Con lei hanno cantato Matteo Mezzaro, un elegante Florestan, Marina Ogii e Patrizio La Placa. Anche l’operetta è stata diretta da Valerio Galli, con equilibrio. Fil rouge, fra “Un mari à la porte“ e “Cavalleria rusticana“, la jealousie. Et bon.