Prato, 167 esecutori (con la Camerata strumentale) per Saint Nicolas op. 42 di Benjamin Britten. Il 17 e il 18 aprile alle ore 21 nella Chiesa di San Domenico

Mercoledì 17 e giovedì 18 aprile 2024, ore 21.00, nella Chiesa di San Domenico a Prato, direttore Jonathan Webb, Mark Milhofer tenore, Coro di voci bianche della Scuola di Musica «G. Verdi», Coro Euphonios, Coro «Città di Prato», Archi e percussioni della Scuola di Musica «Giuseppe Verdi» e la Camerata strumentale di Prato, sarà eseguito Saint Nicolas, Cantata op. 42 di Britten.

Da molti anni la Camerata ha eletto Benjamin Britten a suo santo protettore. “L’esperienza dell’Arca di Noè ha guidato, come una stella polare, le nostre scelte e il nostro modo di interpretare il ruolo centrale di un’Orchestra come luogo d’incontro della Comunità e strumento di partecipazione. The Song of the Ladder, l’Opera commissionata a John Barber per celebrare i venticinque anni di vita della Camerata, è nata dalla lezione di Britten. La Cantata Saint Nicolas, composta nel 1948 dal musicista britannico per l’anniversario di una Scuola, è il suo primo lavoro in cui studenti, musicisti amatoriali e musicisti professionisti sono chiamati a dar vita a un grande affresco musicale animati da un medesimo senso di responsabilità e dalla gioia condivisa di far musica insieme, ciascuno secondo le proprie abilità. La scelta di collocare l’esecuzione di Saint Nicolas nella Chiesa di San Domenico sottolinea il valore comunitario di questa proposta, in uno spirito di continuità con la missione a cui la Camerata è stata fedele fin dal primo giorno della sua esistenza e che ha trasformato Prato in un Laboratorio della Musica inteso come strumento di crescita sociale, accessibile a tutti”.
Anche quest’anno al grande progetto di comunità, contribuiscono le forze fresche degli studenti della Scuola di Musica «Giuseppe Verdi», che si uniranno all’Orchestra della Camerata strumentale, il Coro giovanile della Scuola di Musica «Verdi», il Coro Euphonios, e il Coro «Città di Prato» (che unisce il Coro degli adulti della Scuola «Verdi» e il Coro «Pratolirica»), per un totale di 167 esecutori.
NOTE DI SALA

Benjamin Britten

(1913-1976)

Saint Nicolas op. 42

Cantata per tenore, coro misto, pianoforte a quattro mani, archi, percussioni e organo

Testo di Eric Crozier

Nel 1948 Benjamin Britten si era già imposto fra i maggiori compositori di teatro musicale del Novecento con tre titoli d’opera di genere molto diverso che ne avevano rivelato l’eccezionale statura di drammaturgo. La grande opera corale Peter Grimes, andata in scena a Londra nel giugno del 1945, solo un mese dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa, aveva significato la rinascita dell’arte musicale dopo gli orrori del conflitto e un monito contro il pregiudizio e la discriminazione. The Rape of Lucretia nel 1946 inaugurava una serie di lavori teatrali da camera con un’originale combinazione fra opera e oratorio in cui la denuncia della violenza maschile ai danni dell’innocenza esaltava il ruolo delle donne come vittime del sopruso e come custodi dei valori della pietà. Un anno dopo, Britten faceva centro con Albert Herring, delizioso capolavoro di umorismo col quale rivelava anche un talento per la commedia e canzonava con britannica ironia  l’ipocrisia vittoriana. 

Albert Herring segnava anche la fine della collaborazione di Britten col Festival di Glyndebourne, dove erano state create le sue due opere da camera. Fu Peter Pears, il tenore con cui Britten aveva stabilito un legame artistico e affettivo destinato a durare tutta la vita, a suggerire al compositore di dar vita ad  un suo proprio festival ad Aldeburgh, la cittadina  sulla costa del Suffolk in cui Britten aveva deciso di abitare dal 1942. La prima edizione del nuovo Festival si svolse fra il 5  e il 13 giugno del 1948 e fu inaugurata con l’esecuzione di una nuova Cantata di Britten, Saint Nicolas, allestita nella St. Peter and St. Paul Church di Aldeburgh, la parrocchia del paeseà, nel cui piccolo cimitero antistante oggi riposano, uno accanto all’altro, Benjamin Britten e Peter Pears.

La Cantata era stata commissionata al compositore per celebrare i cento anni dalla fondazione del Lancing College, dove aveva fatto i suoi studi Peter Pears. Fu Basil Handford, uno degli insegnanti del College a suggerire a Britten un «Inno a San Nicola», che era patrono di quella scuola, oltre ad essere il Santo patrono dei bambini e degli scolari in generale (a dire il vero è uno dei santi più gravati di categorie da proteggere, giacché risulta che il suo patronato si estenda anche a marinai, pescatori, vetrai, farmacisti, profumieri, bottai, arcieri, ragazze da marito, avvocati, prigionieri e vittime di errori giudiziari, nonché delle prostitute).

Britten decise di farne una cantata e affidò a Eric Crozier, il librettista di Albert Herring e co-fondatore del Festival di Aldeburgh, il compito di redigere un testo poetico, ispirandosi alla Creazione di Haydn come modello. Crozier si documentò sulle numerose leggende fiorite nei primi secoli  del Cristianesimo attorno a questo Santo nato a Pàtara, in Licia, nel 270 e morto nel 343 a Myra, nell’attuale Turchia, dove era stato nominato vescovo. Costretto all’esilio e imprigionato a causa delle persecuzioni ordinate da Diocleziano, fu poi liberato con l’editto di Costantino del 313, col quale il Cristianesimo veniva riconosciuto come Religio licita.

L’immensa popolarità di San Nicola dall’alto Medioevo a oggi ne ha fatto uno dei santi più venerati del pantheon cristiano, sia cattolico che greco-ortodosso. Nel sesto secolo solo a Costantinopoli era titolare di ben ventisei chiese. Per preservarne le reliquie dai musulmani che si erano impadroniti di Myra, nel 1087 sessantadue marinai di Bari compirono l’impresa di trasportarle nella loro città, dove fu eretta la Basilica a lui intitolata e nella quale sono da allora venerate. I baresi, nella fretta di sottrarre quei preziosi resti all’ingiuria degli infedeli, tralasciarono le ossa più piccole. Queste vennero recuperate tredici anni dopo dai veneziani, che elessero San Nicola a co-patrono della Serenissima insieme a San Marco. La Chiesa di San Nicolò del Lido, laddove la laguna si muta in mare aperto, custodisce quelle reliquie dimenticate dai baresi.

Britten cominciò a lavorare sul testo approntato da Crozier nel dicembre del 1947 e decise di destinare la partitura a una schiera ampia di esecutori amatoriali o di studenti, affiancati da un ristretto numero di musicisti professionisti. Saint Nicolas fu il primo esperimento di questo genere realizzato dal compositore, un modello che poi trovò nell’opera The Little Sweep («Il piccolo spazzacamino», 1949) e soprattutto nel capolavoro Noye’s Fludde («Il diluvio di Noè», 1958) due esiti di valore artistico assoluto. In un’intervista del 1963, Britten proclamava la sua convinzione riguardo all’importanza di comporre per musicisti amatoriali o ragazzi: 

Disprezzare i dilettanti o i ragazzi che fanno musica? Mai! Io voglio scrivere per la gente. Credo appassionatamente nel professionismo e ritengo che un professionista debba conoscere il proprio mestiere in maniera completa, ma questo non dovrebbe impedirgli di scrivere per chi fa musica per diletto. Anzi, proprio il contrario. Dopo tutto, i musicisti amatoriali sono sempre stati una componente essenziale nel forgiare la nostra tradizione musicale. Anche nel resto d’Europa, almeno fino a pochi anni or sono, sono stati i dilettanti che hanno eseguito e amato i canti e i quartetti dei grandi compositori. C’è una speciale qualità di freschezza  e spontaneità nella musica eseguita da musicisti amatoriali. Ciò che mi infastidisce di più è l’inettitudine di certi professionisti che non conoscono la materia del proprio lavoro. Verso costoro non ho tolleranza.

Nel giro di tre settimane uno schizzo generale di Saint Nicolas era pronto. Britten doveva concepire la sua musica per un vasto numero di cantori che oltre al Coro del Lancing College comprendeva anche i cori di altre tre scuole legate alla Woodard Foundation, la più importante rete di istituti educativi legati alla Chiesa d’Inghilterra. Uno di questi cori era formato da voci di ragazze provenienti da un college femminile. Il compositore riunì in un unico grande coro le voci maschili e destinò a una posizione più elevata, in galleria, il coro delle ragazze, al fine di ottenere effetti timbrici differenziati. Quanto all’orchestra, Britten immaginò una partitura con un ampio numero di strumenti ad arco suonati da studenti e quindi con parti di difficoltà compatibile con la loro preparazione. Ogni sezione degli archi deve essere guidata  almeno da un musicista professionista al primo leggio. A questi si affiancano soltanto un pianoforte suonato a quattro mani da due studenti di discrete capacità, un percussionista professionista e uno studente o un buon dilettante di percussioni, e un organista professionista. Infine la parte del tenore solista, che dà voce al Santo e che era destinata ovviamente a Peter Pears, esige un interprete di grande spessore, sia vocale che espressivo.

La Cantata ripercorre in nove stazioni vita, morte e miracoli di San Nicola. Il racconto musicale è preceduto da un’Introduzione, di andamento solennemente processionale. Sui semplici accordi del resto degli archi e sul ritmo scandito dal timpano su un lunghissimo pedale di mi, il primo violino intona una cantilena di intensa espressività. Già questo esordio mette in luce la ricetta efficacissima delle differenze di scrittura, elementare o quasi per l’insieme degli strumenti ad arco, nobile e insidiosa per il primo violino solista, al quale è richiesta quella qualità di suono e quella padronanza tecnica che solo un professionista di livello possiede. Il coro interviene dichiarandosi abbagliato dallo splendore di santità di Nicola e lo invita a raccontare la sua storia. Il tenore accoglie quell’invito e si fa interprete del Santo, giunto fra noi varcando «lo smisurato ponte di milleseicento anni». La sua esortazione a preservare con tenacia la fede per la quale tanti gloriosi martiri hanno offerto la propria vita è fatta propria dal coro con una preghiera a Dio di fortificarci nella fede e nell’amore.

Con un salto stilistico a dir poco sorprendente, la sezione successiva ci illustra la nascita di Nicola nei termini di una gaia canzone infantile, ingenua e saltellante nel racconto del bimbo che esce dal ventre di sua madre in atteggiamento di preghiera e proclamando «Dio sia glorificato!». L’ironia di Britten nel tradurre in musica la leggenda di questo pargolo decisamente singolare è quella di un monello irriverente che scherza coi santi, specialmente quando la canzoncina del coro è interrotta a più riprese da una voce bianca solista che interpreta il fervore mistico del neonato. Solo alla fine, ormai fattosi velocemente uomo, il tenore riprende in fortissimo le stesse note sulle medesime parole e conclude il quadretto nella massima energia generale.

Nella terza sezione Nicola si consacra a Dio. In un declamato pieno di dolorosa consapevolezza delle sofferenze umane. Il racconto del tenore si trascina a fatica verso la carità, l’umiltà e l’immersione totale nell’amore di Dio, attraverso una linea vocale contorta nel cromatismo e in un crescendo emotivo che si appoggia per tre volte alla parola «hartsick» («col cuore affranto»), intonata su un registro sempre più acuto e sempre più drammatico. Il viaggio di Nicola in Palestina è l’argomento della quarta stazione. Sulle onde minacciose disegnate dal pianoforte e dalle percussioni, quando tutti i passeggeri e la ciurma pensano di essere ormai sani e salvi vicini alla mèta, Nicola inginocchiato in preghiera annuncia un’imminente tempesta, deriso da tutti perché il cielo si mostra sereno. Ovviamente la furia degli elementi si scatena e Britten dà vita a una delle sue memorabili tempeste sonore (si pensi al grande interludio sinfonico di Peter Grimes o alla magnifica passacaglia che rappresenta lo scatenarsi del diluvio nell’Arca di Noè). Gli effetti che egli riesce a ottenere da un’orchestra in massima parte formata da dilettanti e studenti, col contributo decisivo del coro (per esempio i lamenti in distanza delle voci femminili ), sono semplicemente miracolosi. Più che il miracolo di Nicola nel placare i flutti e i turbini, questo è il miracolo di Britten, capace di cavare così tanto da così poco. L’incantevole chiusura trasfigura in una luminosa e dolcissima barcarola il sonno dei marinai dopo lo scampato pericolo e la visione di Dio circondato dalle sue schiere angeliche che sorridono al suo Santo.

Nel capitolo in cui Nicola giunge a Myra e viene ordinato vescovo risuona potente l’eco della grande tradizione liturgica anglicana e l’inevitabile omaggio a Haendel nel tripudio di una grande fuga. Quest’ultima approda a uno dei più illustri inni del repertorio protestante, The Old Hundredth, che intona appunto i versi del Salmo 100, «Acclamate al Signore, voi popoli della terra». La melodia proviene dal Salterio ginevrino calvinista e fu composta nel 1551 da Louis Bourgeois. Da allora, il nobile canto ha circolato in tutte le confessioni cristiane, ivi compreso quella cattolica («Noi canteremo gloria a Te»), in quel beato ecumenismo che solo la musica è riuscita a realizzare nei secoli. Lo si ritrova trasfigurato in cantus firmus nella Cantata «Herr Gott, dich loben wir» BWV 130 di Bach, nella Trauermusik di Hindemith, e nella più britannica delle versioni, quella arrangiata per grande coro e grande orchestra da Ralph Vaughan Williams nel 1953 per l’incoronazione di Elisabetta II.

Ad intonare The Old Hundredth, Britten chiama non solo i suoi cori, ma tutta la «Congregation», ovvero il pubblico che sta assistendo all’esecuzione. È il simbolo più alto e manifesto di quella intenzione di coinvolgere tutti nella bellezza e nell’abbraccio della musica, chiamando alla partecipazione diretta. Il superamento della barriera fra esecutori e uditorio fu un gesto tanto semplice quanto rivoluzionario. Britten lo ripeté con effetto ancor più commovente in tre punti salienti di Noye’s Fludde, attingendo ancora agli inni del rito anglicano.

La sesta sezione della Cantata il tenore narra in prima persona della persecuzione contro i cristiani e della prigionia di Nicola. La scrittura è agitata e frammentata, come lo sono le considerazioni del Santo sull’umanità che si allontana da Cristo sprofondando nella desolazione del peccato. La leggenda dei bambini messi in salamoia e fatti risorgere da San Nicola inizialmente non era stata inclusa da Eric Crozier nella Cantata. Fu Britten a volere che questo prodigio entrasse a far parte del racconto. Il suo orrore verso la violenza in generale e in special modo verso i soprusi e le ingiustizie nei confronti dei più piccoli, la cui innocenza è minacciata dalla corruzione degli adulti, era uno dei temi a lui più cari, già trattato con forte rilievo in Peter Grimes e destinato di lì a poco ad essere il centro di un altro capolavoro di teatro musicale, The Turn of the Screw («Il giro di vite»), tratto dal celebre racconto di Henry James. Il coro interpreta in questo caso un gruppo di viaggiatori affamati fra i quali figurano tre madri alla ricerca dei propri figli scomparsi, i piccoli Timoteo, Marco e Giovanni. Chiedono qualcosa da mangiare e viene loro servita della carne salata. Invitano il vescovo Nicola ad unirsi a loro per riacquistare le forze necessarie al suo cammino, ma egli li mette in guardia dal toccare quel cibo, perché altro non è che la carne dei loro bambini, uccisi da un infame macellaio e messi sotto sale. Allora ordina a quei miseri resti di tornare in vita e riacquistare il proprio corpo. I bambini risorgono ripetendo l’«Alleluia» intonato dal coro. L’elemento che caratterizza questo quadro è una marcetta sinistra in si minore, fortemente imparentata con il primo di tre Divertimenti per quartetto d’archi composti da Britten a ventidue anni. Il titolo dato in origine a quel lavoro cameristico era una citazione dal Viaggio d’inverno di Shakespeare, «Go play, boy, play», parole ben lontane dal loro apparente significato giocoso, pronunciate da Leonte con odio e rancore contro colui che, a torto, egli crede essere il padre della creatura che sua moglie porta in grembo. I bambini riportati alla vita da Nicola erano stati vittime di una malvagità non dissimile da quella del personaggio shakespeariano. Letta alla luce dell’amaro grottesco riemerso come autocitazione, la marcia rivela il suo volto inquietante, che gli alleluia angelici delle tre voci bianche riescono solo parzialmente a nascondere. L’ultima parola Britten ambiguamente l’affida infatti alla marcetta, scandita trionfalmente a piena forza da tutti gli strumenti. Il penultimo quadro riassume con toccante tenerezza nelle armonie omoritmiche del coro le opere di pietà e i prodigi del Santo Vescovo. Per descrivere ciascuna di queste azioni gloriose Britten seziona il coro in sette gruppi diversi, facendoli cantare alla maniera di una ballata epica popolare, per poi ricondurli nelle quindici battute di chiusura all’unità della scrittura accordale.

La stazione finale è consacrata alla morte e alla glorificazione celeste di San Nicola. Egli abbraccia la morte con slancio per rinascere alla vita eterna, mentre l’orchestra è percorsa da violente convulsioni. Sulle ultime parole affidate al tenore, il coro intona il Canticum Simeonis, il commovente «Nunc dimittis» nella versione inglese corrispondente all’Anthem «Lord, now lettest thou Thy servant depart in peace». Qui si chiude la narrazione, ma non la musica. Cantori, strumentisti e l’assemblea del pubblico si uniscono di nuovo per intonare «God moves in a mysterious way / His wonders to perform», un inno scritto da William Cowper nel 1774 e rivestito da una melodia del 1635. «Dio percorre vie misteriose per compiere i suoi prodigi»: uno di questi prodigi si chiamava Benjamin Britten. Ricevendo il Premio Aspen nel 1963, egli pronunciò queste parole: «Voglio che la mia musica sia utile alla gente, possa soddisfarla, possa renderne migliore la vita». Questa è la finalità di Saint Nicolas.

(durata: 48 minuti)

Alberto Batisti