Il fascino dell’opera “Le Villi” al Comunale di Modena. Buona produzione e meritato successo. Inappuntabile Michele Kalmandy, sicuro Matteo Lippi, drammatica Maria Pia Piscitelli. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

“Le Villi“ sono un‘opera di fascino. In un‘ora giusta di musica vi passano mille eco, da Ponchielli a “Le rouet d’Omphale“ di Saint-Saëns, dal sinfonismo della “Contemplazione“ di Catalani, che già aveva composto la lugubre “Elda“, a certi pallidi notturni di Sgambati, dal virtuosismo di Bazzini ai turgori del gran padre Wagner, lambendo persino il giovane Mascagni, la cui „preghiera“ della cantata “In Filanda“ (1881) somiglia tanto a questa del primo atto de “Le Villi“. In altri termini, vi riconosco l‘entusiasmo onnivoro del giovane talentuoso in cerca del suo stile – che arriverà, si sente, con “Manon Lescaut“, qui e là annunciata da queste pagine – nonché l‘ansia e lo spleen tutti pucciniani, già dietro l‘angolo. Poi vi sarebbe la questione musicologica de “Le Willis“ e de “Le Villi“, ovvero della prima e della seconda versione dell‘opera. In tempo di filologia ascolteremmo volentieri la prima, ma ci accontentiamo della seconda, che qualcuno sussurra essere stata rivista da Ponchielli stesso. Salomonicamente al Comunale di Modena, teatro dove le cose si sanno fare, hanno optato per la nuova edizione critica a cura di Martin Deasy, della quale la presente è stata la prima esecuzione.

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Caspar Friedrich, Cimitero dell‘Abbazia sotto la neve, 1810; Cimitero nella neve, 1827

Ora, mettendo in scena un‘opera dove cantano i morti, un altro bel problema è l‘allestimento. Nel libretto scarno del buon Ferdinando Fontana passano più eco che nella musica di Puccini. Oltre la novella di Alphonse Karr dalla quale la vicenda è tratta (la stessa di “Giselle“ di Adam), si sente tutta la “Scapigliatura“ della quale Fontana fece parte: Cletto Arrighi, Carlo Dossi, Tarchetti, le “Penombre“ di Emilio Praga, Camerana, i due Boito e persino “Il Canto dell‘Odio“ di Guerrini/Stecchetti. E ricollegandosi ad un ramo pittorico se non “scapigliato“, certamente “noir“, bene ha fatto dunque la regista Cristina Pezzoli con lo scenografo Giacomo Andrico a costruire un‘immagine semplice, all‘aria aperta, per il primo atto (dove però non pareva essenziale un certo bozzettismo, come il fotografo impegnato a scattare foto di gruppo) e, per contrasto, a collocare direttamente in un cimitero sotto la neve, alla Caspar Friedrich, la seconda parte dell‘opera con la “tregenda“ e il ballo mortale della vendetta.

Sul podio direttoriale il maestro Pier Giorgio Morandi, alla guida della Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti, non ha smorzato gli aneliti sinfonici del giovane Puccini, né attenuato le cospicue sonorità. Dal suo solido lavoro di concertatore è uscita una partitura meno fresca di quello che appaia usualmente, tuttavia mantenendo l‘entusiasmo e il candore di base imprescindibili ne “Le Villi“.
Buoni i tre cantanti: alla virginale Anna si richiederebbero trasparenze sonore che Maria Pia Piscitelli ha forse sacrificato in nome della drammaticità, ma inappuntabile è apparso Michele Kalmandy (era la seconda recita: alla prima ha cantato Alberto Gazale) come Guglielmo e squillante e sicuro Matteo Lippi, che attendiamo a nuove prove, nella difficile parte di Roberto. Spettrale e anonima la voce del narratore che collega la vicenda all’inizio del secondo atto. Discreta la prestazione del coro Associazione Coro Lirico Città di Piacenza e Fondazione Teatro Comunale di Modena, maestro Stefano Colò.
Belli i costumi di Andrea Grazia. Coreografie di Melange Production AB con consulenza di Aterballetto, danzatori Agora Coaching Project. Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia.
Successo molto cordiale come la produzione ha meritato.