“Un ballo in maschera” per la ripartenza. Grande interpretazione di Francesco Meli che tratteggia un magnifico Riccardo. Bellissima (e con un’acustica perfetta) la Cavea del nuovo Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI
Un mare di ricordi mi lega a “Un ballo in maschera”. Dal Riccardo di Pavarotti e Tucker, alla Amelia di Montserrat Caballé, dalla direzione di Riccardo Muti che per me rappresenta un vertice, al Maestro Gavazzeni che parlando di quest’opera illustrava le “strappate” di Giuseppe Del Campo nell’antro di Ulrica accompagnando le sue parole con un gesto secco e perentorio del braccio destro proprio come faceva il collega, celebre direttore degli Anni Trenta. Tutto un fiorire di miti e leggende.
Il sovrintendente Pereira
Aggiungo che il “Ballo” è da sempre una delle mie opere favorite e che ogni volta che mi accingo ad assistere ad una sua rappresentazione in teatro è per me un momento speciale.
In questo caso all’infinito dei ricordi si univa l’interesse per la conoscenza di un nuovo luogo teatrale che si è inaugurato proprio adesso insieme con un inesprimibile desiderio di ripartenza, di partecipare ad un rito comune antico come il mondo: il teatro appunto.
E dunque passiamo alla serata.
La Cavea del Teatro dell’Opera di Firenze (Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, ndr) è un bellissimo spazio situato sulla terrazza dell’edificio. La struttura è semplice, niente più di un’ampia scalinata, l’acustica perfetta. Messi a punto alcuni meccanismi organizzativi potrà rivelarsi molto funzionale.
L’esecuzione si è tenuta in forma di concerto, scelta responsabile e comunque dettata dalle regole del
distanziamento sociale, ma è stato così coinvolgente da far dimenticare l’assenza di scene e costumi.
Carlo Rizzi ha diretto con grande esperienza, mano sicura, calore e totale intesa con l’assieme; l’orchestra era in ottima forma; il coro diretto da Lorenzo Fratini, brillantissimo.
Francesco Meli, alle prese con un personaggio che gli si attaglia perfettamente, ha disegnato, dall’alto di un fraseggio sempre distinto, elegante, ispirato, un magnifico Riccardo. Tutta la prestazione di Meli si è mantenuta a un livello talmente elevato da collocare senza dubbio questo cantante fra i grandi interpreti del personaggio, ma con piacere aggiungo che da tanti, tanti anni non si sentiva eseguire “Di’ tu se fedele” con una tale fluidità, il duetto con quella passione, la grande aria del terzo atto con un così struggente senso di rimpianto e rassegnato distacco.
Al fianco di questo eminente protagonista, Krassimira Stoyanova è stata un’Amelia dallo spessore vocale indubbiamente attenuato rispetto al peso specifico del personaggio, che tuttavia dopo qualche incertezza iniziale ha avuto bei momenti nel corso dell’opera specie nell’aria “Morrò, ma prima in grazia” e nel tragico finale.
Carlos Alvarez, molto atteso, è stato un Renato solido, tutto compreso in una indefettibile rigidità, ma purtroppo, forse per una improvvisa indisposizione, qualcosa non ha risposto alle intenzioni dell’interprete nella difficile aria “Eri tu” ove sono emersi dei suoni acuti piuttosto risicati e poi parzialmente rimediati nella spontanea replica del finale. Molto bene l’Ulrica di Judit Kutasi dalla voce ampia, sonora e bilanciata, bene l’Oscar di Enkeleda Kamani, non il solito passero pigolante e ultraleggero, bene i due bassi Fabrizio Beggi ed Emanuele Cordaro nei panni dei congiurati Samuel e Tom. William Corrò, Silvano e Antonio Garés, Un giudice-Un servo d’Amelia, hanno contribuito alla costruzione di un cast di notevolissima qualità.
Pubblico in verità non troppo numeroso, ma entusiasta, fra le cui fila si notava il sovrintendente Alexander Pereira, giustamente soddisfatto.