Teatro Verdi di Pisa: “Don Giovanni” e il metateatro del Circo Nero (così definito dalla regista Cristina Pezzoli che non si presenta per gli applausi finali). Le voci, i suoni e una certa lentezza. Ma alla fine è Mozart che vince. La recensione di Fulvio Venturi

 
IMG_5075di FULVIO VENTURI
 
Da amatore del Liberty e dell’opera lirica non avrei mai immaginato che una citazione di Loïe Fuller, la danzatrice americana che destò entusiasmo a Parigi nell’ultimo decennio dell’Ottocento, e mosse addirittura l’interesse di Stéphan Mallarmé, fra i simbolisti, e dell’immancabile Toulouse Lautrec fra gli artisti figurativi (ma anche di Koloman Moser a Vienna) potesse essere avvicinata a “Don Giovanni”.
 
 
Evidentemente la mia creatività è in difetto perché un riferimento preciso alla danzatrice americana, nella regia di Cristina Pezzoli, apre questa produzione pisana del capolavoro di Mozart.
In totale verità ce ne sfugge anche la ragione, se non fosse per un gioco di parole sul nome della ballerina che da Loïe, contrazione di Louise, diventava l’ouïe, l’udito, ma anche la comprensione. Dunque quasi un invito alla comprensione del lavoro al quale lo spettatore avrebbe assistito.
E in effetti di comprensione e ricettività ce n’è stato bisogno.
La coreuta dai bastoni e dalle ali di farfalla che aveva riempito di sé la scena all’aprirsi del sipario non è più comparsa nello spettacolo che tuttavia è stato inserito in una sorta di metateatro, un Circo Nero, così definito da Cristina Pezzoli nelle note di regia, non privo di fascino in sé e probabilmente ricco di altre citazioni colte: ad esempio nell’ultimo incontro del protagonista con Donna Elvira già vestita da suora e concluso da un atto sessuale piuttosto esplicito, ci è parso di cogliere un riferimento pittorico al dissacrante dipinto “Die Versündigung”, il peccato, di Heinrich Lossow. Citazione che potrebbe aprirsi a significati secondarî in quanto lo stesso artista ebbe a dipingere anche scene di genere dedicate al salisburghese, come il Mozart bambino che suona l’organo nella chiesa di Ybbs, settembre 1762.
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Torniamo a noi.
All’interno del Circo Nero, Don Giovanni, “puer æternus”, immaturo, si muove come un “Joker, un dandy quasi transgender, centrato su una seduzione che supera il concetto di maschile/ femminile, più legato al mutare dell’identità della nostra epoca: identità liquida e ondivaga, da rockstar come David Bowie o Freddie Mercury.” (Cit. Cristina Pezzoli).
Forse allora un richiamo alla aperta omosessualità di Loïe Fuller, da considerarsi dunque come ispiratrice dell’intera operazione.
Attorno alla figura archetipica del protagonista ruotano, o meglio entrano ed escono gli altri personaggi, l’alter ego Leporello, il risolutivo Commendatore, l’inane Don Ottavio, l’ignaro Masetto, l’enigmatica Zerlina, la stressata Donna Elvira, la bellissima ed erotica, con tanto di scollatura vertiginosa, Donna Anna. E insieme con loro otto altri personaggi d’invenzione, danzatori, a rappresentare come simboli le qualità dell’archetipo: Oscurità, Melanconia, Gioco e Leggerezza, Furia, Esercizio di Manipolazione, Gelo Emotivo, Bulimia Sessuale, Equilibrismo…
Dunque un gran lavoro da parte della regista Pezzoli che nondimeno senza la lettura delle note di sala sarebbe rimasto almeno a noi in parte sommerso.
E il gioco dei rimandi non si conclude con quelli ai quali abbiamo accennato, ma si integra con quelli ad alcuni grandi stilisti della nostra epoca come Jean-Paul Gaultier o Alexander McQueen presi come fonte d’ispirazione per la progettazione dei costumi.
La produzione è stata guidata con professionalità, oltre che da Cristina Pezzoli, da Giacomo Andrico, scene e costumi e Valerio Alfieri, light designer, con la implicita “supervisione” di Stefano Vizioli direttore artistico del “Verdi” e regista di razza.
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Lo spettacolo, un po’ lento anche per l’inserimento di una sorta di entr’actes animati fra scena e scena, con suoni di fondo extra partitura originale che hanno portato anche ad una marcata protesta (“musica” dalle zone alte del teatro), ha la crudele durata di quasi quattro ore.
La parte musicale è stata capeggiata dalla direttrice Erina Yashima, la quale ha infuso entusiasmo alla compagine orchestrale – Orchestra Arché talvolta imprecisa; al fortepiano Riccardo Mascia – ma non grande personalità né nitore mozartiano. Ci siamo anche interrogati sulla opportunità delle molte variazioni attuate nelle linee di canto.
Daniele Antonangeli, nei panni di Don Giovanni, ha messo in campo un assetto vocale elegante e controllato. È anche ottimo attore. Dal protagonista di un’opera tanto grande, però, ci saremmo attesi anche un volume di suono maggiore. Ricordiamo tuttavia Daniele Antonangeli come discente in una masterclass livornese di qualche anno fa e lo sappiamo serio, studioso. Siamo certi che saprà maturare al meglio le sue notevoli caratteristiche. Più sonoro il Leporello di Nicola Ziccardi, anch’egli lodevole in ragione della giovane età, seppur qua e là un po’ guardingo sulla tessitura e sulle note tenute. Con qualche disuguaglianza di registro ed un settore di passaggio non proprio limpidissimo il Don Ottavio di Diego Godoy che comunque ha dimostrato tenuta nelle due difficili arie. Accettabile il Masetto di Francesco Vultaggio.
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Sonia Ciani, Raffaella Milanesi e Federica Livi, hanno interpretato rispettivamente Donna Anna, Donna Elvira e Zerlina. Tre voci abbastanza simili, delle quali solo quella di Federica Livi è parsa vicina alle caratteristiche del personaggio. Sonia Ciani, che può avvalersi di una notevole presenza scenica, è parsa sottodimensionata rispetto alla tipologia di “gran dolorosa” che caratterizza Donna Anna e Raffaella Milanesi ha avuto qualche problema con il complesso, diseguale, ordito di Donna Elvira.
Fondamentale l’apporto del corpo di ballo Nuovo Balletto della Toscana e della coreografa Arianna Benedetti. Coro Ars Lyrica, direttore Marco Bargagna.
Un pubblico numeroso, che almeno in molte unità ha dato però l’impressione di non sapere che dopo la discesa di Don Giovanni agli Inferi l’opera prosegue con la morale “Ah! Dov’è il perfido”, ha applaudito tutti. Mozart il taumaturgo ha vinto e come sempre accade oggi quando si rappresenta una sua opera, la sensazione è che sia proprio la qualità della musica a stabilire il felice gradiente della serata. A sorpresa però Cristina Pezzoli non si è presentata agli applausi finali e qualche spettatore ha lasciato il teatro anzitempo.
*** (Le foto sono di Imaginarium Creative Studio, ad eccezione dell’immagine in basso e quella all’inizio del testo)
*** (“Don Giovanni” replica domenica 26 gennaio 2010 al Teatro Verdi di Pisa con inizio    alle ore 15.30).  
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One thought on “Teatro Verdi di Pisa: “Don Giovanni” e il metateatro del Circo Nero (così definito dalla regista Cristina Pezzoli che non si presenta per gli applausi finali). Le voci, i suoni e una certa lentezza. Ma alla fine è Mozart che vince. La recensione di Fulvio Venturi

  • Carissimo Sig. Flavio Venturi. Chi Le scrive è un amante dell’opera nonché un musicista.
    La grande cultura che la contraddistingue Le impone alcune imprescindibili regole professionali.
    DIMENTICARSI del tutto di citare il Commendatore di Paolo Pecchioli forse l’unico sul quale non di poteva dir nulla se non magnificare la sua vocalità e presenza o al massimo dissentire, forse, della scelta registica che lo ha costretto a cantare imprigionato in gesti “robotici”, è cosa assai grave e molto poco professionale.
    Mi scuso per l’appunto ma a mio avviso era doveroso.
    Cordialmente,
    Nicolas Mellini

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