Opera Carlo Felice di Genova: appuntamento con “Norma”, con l’eccellente Vasilisa Berzhanskaya (fra virtuosismo espressivo, pura interpretazione e fascino). Bene Stefano Pop nel ruolo di Pollione. Orchestra e direttore (Riccardo Minasi) in buona forma. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Diciamolo subito: mi sono divertito da matti. E il merito è soprattutto suo, di Vasilisa Berzhanskaya. Mi ero accorto delle non comuni doti della giovane cantante russa nel Barbiere televisivo in tempo di covid poi confermate de visu in quello fiorentino, come l’altro diretto da Gatti. E qui dovrò citarmi. Di lei mi aveva colpito la voce vellutata, il colore bellissimo, la capacità di emettere fantastiche agilità di coloratura perfettamente sgranate sia sul “piano” che sul “forte”, la costante capacità di cantare sul fiato, la naturale predispozione al virtuosismo “espressivo”. Non sembri quest’ultima frase un ossimoro. Alle doti canore di Vasilisa Berzhanskya si deve poi aggiungere una presenza scenica affascinante e capacità attoriali degne di nota. Tutto questo potrebbe anche non bastare per una Norma di alto livello. 

A tale bagaglio, ad esempio, si deve aggiungere la maestria del “legato” più ampio, della cavata di suono che qui si richiede levigata quanto quella di uno strumento ad arco, la sollecitazione di un registro acuto e sovracuto  che si pretende sicuro ed imperioso siccome soave e malinconico, nonché la tenuta su una parte spossante tanto dal lato fisico, quanto da quello psicologico-interpretativo. 

Nell’attesa della produzione (Teatro Carlo Felice, Genova) mi ero posto la domanda se la fantastica Vasilisa Berzhanskaya, ascoltata in una parte risolta con gran classe, ma pur sempre di mezzo carattere, avesse anche i requisiti della grande tragica. 

Ebbene, li ha. 

La sua Norma non fa distinzione fra il virtuosismo espressivo e la pura interpretazione, e non un suono, un fiato, un atteggiamento è fuori posto, o fine a sé stesso. 

Si aggiunga il fascino personale ed avremo una Norma di grande spessore, appunto quella di Vasilisa Berzhanskaya. 

Già mi domando in quale opera l’ascolterò prossimamente.

La sua prestazione è stata ben supportata da Riccardo Minasi, direttore che conosce la partitura di Norma a perfezione: molta cura del particolare, attenzione al palcoscenico (era Norma, non Moses und Aron), ma anche una narrazione che non si sperdeva nella grande plaga belcantistica. Norma è opera comunque tragica, ha un inarrestabile incedere e questo si è avvertito. L’orchestra era in ottima forma. 

Stefan Pop, Pollione, dispiega un ottimo materiale tenorile, facile e squillante in alto, giustamente turbinoso nei centri. La cavatina di sortita “Meco all’altar di Venere” è bellissima, ha rispetto delle note scritte, la sua cabaletta “Me protegge, me difende” ha la baldanza del proconsole romano. Così il duetto con Adalgisa ha la grazia dell’amoroso, il terzetto che chiude l’atto l’arroganza del maschio esposto ad una brutta figura e il finale la dignità di una coscienza che si ritrova. Dunque una prestazione eccellente con qualche sparuto cenno di forzatura come ci è parso di cogliere alla chiusa della cabaletta. 

Carmela Remigio è un’Adalgisa senza particolari lusinghe timbriche e neppure la freschezza endemica del personaggio, però si muove con proprietà nei passi virtuosistici e specie nel secondo duetto con Norma (“Mira, o Norma”) ha avuto bei momenti. Alessio Cacciamani è stato un Oroveso dal timbro metallico e di limitata autorevolezza; Simona Di Capua e Blagoj Nakoski hanno completato il cast. Bene il coro diretto da Claudio Marino Moretti.

La regia di Stefania Bonfadelli (scene Serena Rocco; costumi Valeria Donata Bettella; coreografie Ran Arthur Braun; luci Daniele Naldi) soffre di horror vacui. L’azione è perenne, occupa ogni momento dell’opera, persino la sinfonia è animata, spesso dietro i personaggi in primo piano, impegnati a cantare, ve ne sono altri che compiono controscene, e alcuni colpi d’occhio come le faci ardenti in apertura di spettacolo avevano un forte impatto. Forse un po’ epidermico lo scavo dei personaggi, ma complessivamente mi è parso un buon lavoro, o comunque non tale da meritare i sonori e non isolatissimi dissensi finali.

Applausi incondizionati invece per Vasilisa Berzhanskaya, per l’intera compagnia di canto e per il direttore d’orchestra.