Mattia Moreni: opere dagli anni Cinquanta ai Novanta. Una mostra alla Galleria Il Ponte di Firenze

Nuova esposizione alla Galleria Il Ponte di Firenze. Si tratta di “Mattia Moreni. Opere anni ’50-’90” a cura Marco Meneguzzo. Resterà aperta fino al 10 gennaio 2020.

La mostra che la galleria Il Ponte dedica all’opera pittorica di Mattia Moreni (nato nel 1920 a Pavia, scomparso nel 1999 a Brisighella), è una sintesi, in dodici opere, del percorso pittorico di questo maestro italiano, che dagli anni ’50 alla sua scomparsa nel 1999, si è sempre rivelato un’artista “scorretto”, che ha sistematicamente ignorato i riti ed il conformismo della cultura ufficiale. Moreni ha dipinto tele che sono dei calci nello stomaco, domande indecenti e insolenti che ancora vibrano nell’aria, provocazioni che bruciano attuali sostenute dall’ironia con cui sono state scagliate (Antonio Vanni, Regressivo Consapevole. Perché?). 

Ecco a seguire il testo critico di Marco Meneguzzo: “Difficile trovare un pittore più pittore di Mattia Moreni. Per lui la pittura è tutto, ed è per questo che a volte passa in secondo piano, di fronte a quello che tutti vedono per primo: una follia padana in fondo familiare, come quella che va da Pupi Avati a Federico Fellini, autori per cui a loro volta il cinema è tutto. E’ il racconto della follia, quello che ogni spettatore vuole sentire, quando guarda un quadro, e Moreni lo accontenta: è come se dicesse “sono pazzo, guardate la mia follia attraverso i miei quadri, però guardateli!”. Ma l’artista Moreni, al contrario – forse – dell’uomo Moreni, non è affatto pazzo: è un narratore per immagini e parole – più immagini, però – che, come Tommaso Campanella (il quale si finse pazzo per trent’anni, per sfuggire all’Inquisizione) aggira il muro della resistenza dello sguardo attraverso il trucco della follia, consentendo così ai suoi temi di sfondare il muro della pruderie e del malcelato pudore. Angurie, sessi femminili (è bastato un quadro di Courbet a creare uno scandalo mondiale, ma che dovrebbe dire Moreni, che ha dipinto sessi per dieci anni consecutivi, e tutti in formato due per due?…), argini, robot di latta, luoghi misteriosi come un “asilo americano” (che avrà di diverso dagli asili italiani?), Moreni ha costruito in cinquant’anni un mondo di pittura, un bozzolo di pittura magistrale entro cui rinchiudersi, indifferente agli esploratori che cercano di decifrarne i significati, invece di guardare il quadro, di godere di quella sapienza tecnica travestita da brutalità inconsulta.Comunque, mala tempora currunt: perché Philip Guston è un pittore acclamato, degno di esegesi bizantine come oggi solo gli accademici americani sanno fare, e Mattia Moreni no?”.