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MASCAGNI FESTIVAL 2023. Aspettando il debutto di “Silvano”, dramma marinaresco del musicista livornese. L’intervista al critico musicale Fulvio Venturi, L’appuntamento (preceduto da “The Eternal City” composizione mascagnana del 1902 per i teatri di Londra e New York) mercoledì 23 agosto alle ore 21 alla Terrazza
Sta per tornare a Livorno una nuova produzione di Silvano, nell’ambito del Mascagni Festival 2023. A seguire una scheda dell’appuntamento lirico di mercoledì 23 agosto alla Terrazza Mascagni. E ancora un’intervista a Fulvio Venturi, critico, musicologo e autore di saggi, studioso del compositore livornese e della sua musica.
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LA SCHEDA DI SILVANO
Cresce l’attesa a Livorno per il debutto della nuova produzione lirica per il Mascagni Festival 2023: mercoledì 23 agosto, alle ore 21.30 sulla splendida terrazza sul mare dedicata a Pietro Mascagni, andrà in scena Silvano, il dramma marinaresco del musicista livornese che ebbe la sua première alla scala di Milano nel marzo 1895 su versi di Giovanni Targioni Tozzetti, il fedele librettista coautore della più fortunata e celebre Cavalleria rusticana di soli 5 anni precedente. “Si tratta di un titolo mascagnano poco frequentato anche nella sua città natale – afferma il direttore artistico del Festival Marco Voleri – dove lo diresse lui stesso quello stesso anno ed in questi stessi giorni di agosto al Teatro Goldoni: 4 rappresentazioni con un cast su cui spiccavano Gemma Bellincioni e Roberto Stagno, i due storici protagonisti della prima assoluta di Cavalleria rusticana. Un’opera che presenta ampi pregi musicali che merita di essere riascoltata e riscoperta perché sicuramente inserita in quella dimensione verista che ci siamo posti come campo di studio e di analisi specifico con la nostra Mascagni Academy. Durante tutto il Festival, che si avvale del patrocinio del Comitato Promotore Maestro Pietro Mascagni e che sta giungendo alla sua fase culminante – prosegue Voleri – abbiamo esplorato in tanti concerti ed appuntamenti l’incredibile iter creativo mascagnano capace sempre di innovare e stupire e sono particolarmente lieto di ascrivere al Festival questa nuova produzione lirica abbinata ad un’ulteriore rarità: una selezione di The eternal city, composta da Mascagni nel 1902 per i teatri di Londra e New York e per tanto tempo ritenuta scomparsa, che testimonia ulteriormente i fondamenti della sua straordinaria capacità melodica e compositiva che tanta influenza hanno avuto nel Teatro musicale tra la fine dell’800 e buona parte del ‘900”.
Per Silvano, dopo la prima assoluta a Livorno, solo due edizioni nello scomparso Teatro Rossini nel 1923, poi ancora al Goldoni nel 1970 e 1980, al Teatro La Gran Guardia con Massimo De Bernart sul podio nel 1996 ed un’ultima apparizione nel 2005, ma in forma di concerto nella piazza del Goldoni diretta da Mario Menicagli che l’aveva già presentata in forma scenica all’aperto a Villa Carmignani a Collesalvetti nel 2003.
A dirigere l’opera e The eternal city sul podio dell’Orchestra e coro del Teatro Goldoni, Lorenzo Tazzieri uno dei più accreditati esponenti della nuova generazione italiana di direttori d’orchestra; è direttore artistico e musicale del Chile Opera Festival, dell’ Argentina Opera Festival, del Festival pianistico Claudio Arrau e del Genoa International Music Youth Festival: “La barcarola, la pagina più celebre di quest’opera – ha affermato in una recente intervista – è come una grande linea suonata dai primi violini che ricorda nella tessitura l’onda del mare. Mascagni era uno sperimentatore e la sua essenza più vera si trova in un repertorio come questo, considerato minore, che ritengo debba essere veramente riscoperto. Lavoro spesso in Sudamerica e lì il nome di Mascagni è ancora un mito ed è rimasta nella memoria l’eco delle sue memorabili tournée”.
La regia è di Carmelo Alù, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, laurea in Lettere e Filosofia a Catania e specializzato in regia lirica presso Verona Accademia per l’Opera; nel 2015 con una sua riscrittura dell’Amleto di Shakespeare ha vinto il Primo premio nel contest European Young Theatre promosso dal Festival di Spoleto e l’anno successivo con il testo L’Omicidio da lui scritto e diretto vince il Premio SIAE; da allora ulteriori riconoscimenti e regie e per la prima volta incontra il teatro lirico mascagnano: “Dimenticata per tanti anni quest’opera nasconde il potere del mare – afferma – Silvano e Matilde sono vittime veriste, macchiati da colpe che la società non perdona. È gente di mare che lentamente naufraga tra il bisogno di possedere e la voglia di riscattarsi.”
Protagonisti sulla scena Marco Miglietta (Silvano), Tomohiro Nomachi (Renzo), Laura Stella (Matilde) e Mariangela Zito (Rosa); scenografia di Marina Conti, costumi Sartoria Teatrale Bianchi, lighting designer Genti Shtjefni; allestimento del Mascagni Festival.
Biglietti ancora disponibili (prezzi da € 12 a € 30) presso il botteghino del Goldoni martedì ore 10-13, online su mascagnifestival.it e goldoniteatro.it e nei punti vendita Ticketone; presso la Terrazza Mascagni il giorno stesso della rappresentazione a partire da due ore prima. Tutte le info su goldoniteatro.it
Non solo spettacolo: in occasioni delle serate conclusive del Festival sulla Terrazza Mascagni, dal 23 al 27 agosto in un giardino all’italiana con una struttura di ferro battuto, con piante sedie e tavoli in coordinato, Sketch Cocktail Bar proporrà una selezione di drink con il nome delle opere di Mascagni, mentre originali ricette livornesi saranno realizzate espresse dallo chef Ian Catola (che cucina in modo scenico con un pentolone); il Live Painting con un artista che dipingerà sul momento varie opere, completerà questo omaggio a Livorno e Mascagni, tra storia e tradizione.
L’INTERVISTA / FULVIO VENTURI “RACCONTA” SILVANO
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Fulvio Venturi, lei è uno dei massimi conoscitori di Pietro Mascagni e delle sue opere. Silvano è un titolo abbastanza sconosciuto. Può presentarci questo titolo, come nacque, da cosa fu ispirato, quanto è da considerarsi “verista”?
Innanzitutto grazie per le belle parole. Per inquadrare l’argomento, Silvano è la quinta delle opere di Mascagni e potremmo dire che con essa abbia termine il periodo giovanile del suo autore, un periodo che in genere facciamo risalire al 1890 con il successo di Cavalleria rusticana, ma che forse sarebbe più giusto collocare negli anni livornesi di In Filanda e Alla Gioja, ovvero 1881 e 1882, quando il musicista era poco più che un ragazzo e poi con la lunga gestazione di Guglielmo Ratcliff, iniziata attorno al 1885 e conclusasi con la rappresentazione dell’opera dieci anni dopo. Riguardo a Silvano, essa è da considerarsi sicuramente un’opera verista, ma di un verismo molto “mascagnano”, dunque non così crudo o programmatico come Pagliacci, o come altri titoli che ebbero fortuna all’epoca e che oggi sono dimenticati come A basso porto di Nicola Spinelli (su libretto del livornese Eugenio Checchi, da Goffredo Cognetti), A Santa Lucia di Pier Antonio Tasca o Mala Vita di Giordano. Si tratta di un verismo di matrice naturalistica, dove le istanze sociali (il banditismo, l’adulterio per necessità, il contrabbando) rimangono in secondo piano rispetto allo sfondo paesaggistico, al mare, alla notte mediterranea, allo scandire ritmato dei remi sulle barche da pesca.
Al suo debutto Silvano non riscosse un grande successo, anche Mascagni sembrava poco convinto di quest’opera in due atti. Cosa può dirci al proposito?
Silvano nacque affrettatamente. Mascagni aveva un forte desiderio, quello di vedere in scena l’opera che rappresentava il suo grande amore musicale, Guglielmo Ratcliff. Nel 1894, quando Edoardo Sonzogno, l’editore di Mascagni assunse la direzione del Teatro alla Scala, questo desiderio poté finalmente avverarsi e Guglielmo Ratcliff fu rappresentato con successo il 16 febbraio 1895. Sonzogno volle però in cambio una promessa da parte di Mascagni, quella di comporre un’opera breve da rappresentare insieme a Cavalleria rusticana e così nacque Silvano. Come soggetto fu scelto un racconto francese, Histoire de Romain d’Etretat, di Alphonse Karr, lo stesso autore al quale Giacomo Puccini e Ferdinando Fontana si erano ispirati per Le Villi. L’opera avrebbe dovuto chiamarsi Romano, poi, per problemi di diritto d’autore, il titolo fu mutato in Silvano. Librettista fu Giovanni Targioni Tozzetti, amico di sempre di Mascagni e livornese come lui (oltre che librettista di Cavalleria rusticana). Se il racconto di Karr era ambientato in Bretagna, fra le falesie e l’Atlantico, l’azione di Silvano fu trasportata nell’Italia meridionale, fra i vasti arenili adriatici e paesi indefiniti, quali Manfredonia, Trani, Bisceglie, Molfetta, che Mascagni aveva conosciuto bene durante il soggiorno a Cerignola. L’opera è persino dedicata ad un personaggio pugliese, Giuseppe Cannone, sindaco di Cerignola e benefattore di Mascagni. Non si può tuttavia evitare di pensare al lungomare livornese nelle notti di bonaccia, o alla “patana” di mezzogiorno, affocata dai venti di scirocco o d’ostro, fra le agavi e le tamerici. Silvano andò in scena al Teatro alla Scala il 25 marzo 1895, quaranta giorni dopo l’imprimatur di Guglielmo Ratcliff. Già questa data ci può dire quanto affrettatamente abbia lavorato Mascagni attorno a Silvano. Le prime tracce del lavoro appaiono nell’ottobre 1894 e a marzo dell’anno successivo l’opera va in scena. Sei mesi. Nel mezzo la preparazione di un’opera grande come Guglielmo Ratcliff. E questo dice tutto. Mascagni stesso fu molto parco di notizie riguardo Silvano. Pochissimi accenni nell’epistolario coevo alla gestazione dell’opera (Romano – proprio così, Romano – è come la morte, tardo nel venire) come se sei mesi per la composizione di un’opera fossero per lui un tempo lungo (mi manca qui uno smilie di meraviglia) e una quarantina di anni più tardi, quando Silvano fu ripreso alla Scala (1938, infelicemente secondo lui) lo definì “due atti di piccola roba”, ma deplorò l’assenza di eleganza che secondo lui aveva snaturato la messa in scena.
Qualcuno parla di partitura musicale “esile”. Eppure c’è un brano, la Barcarola, che sembra stare in bilico fra realtà e sogno, capace di suscitare forti emozioni già al primo ascolto. Qual è il suo pensiero al proposito? E come giudica, nell’insieme, il Silvano?
Più che “esile” definirei la partitura di Silvano “affrettata”. Molte parti non sono definite, manca un vero finale, risolto da un colpo di pistola “a secco” che vanifica di molto l’effetto lirico di quanto aveva preceduto questa scena, ovvero il famoso “notturno e barcarola”, senza un necessario sviluppo che crei un reale contrasto fra il sogno e il dramma. Nel primo atto la scena dell’invettiva di Silvano (Ah! Mi hai detto bandito) appare alquanto “telefonata”. Altre parti, invece, sono molto riuscite, come l’accidioso preludio marinaresco (sembra quasi di vedere la bella Luisa Ranieri in quella famosa pubblicità, “Ando’, fa caldo…”), il prorompente duetto “del ritorno” fra Silvano e Matilde, l’interrogativo finale del primo atto, l’inizio del secondo atto con il coro dei marinai, l’intenso interludio marino, il “rispetto” delle donne (“Io miro, miro, e non vedo chi voglio”, tratto da Targioni Tozzetti dai Canti popolari toscani raccolti da Giuseppe Tigri del 1869) e, come sappiamo, il “notturno e barcarola”, che spesso vive anche come pagina sinfonica estrapolata dalla partitura completa.
Con le dovute premesse, qui in parte esposte, e le doverose limitazioni, a me Silvano piace, ascolto volentieri la sua musica. E’ animata (o disanimata, se volete, perché l’opera a tratti è proprio enervata, esangue, solo eleganza ed evanescenza) da una vena che quando si mostra è autentica, da una cifra inequivocabilmente mascagnana. Non vi si cerchi il dramma, che è solo d’occasione. Silvano è un’opera-paesaggio. Vi si cerchi, perché è presente, il legame con il bozzettismo post-macchiaiolo dei Tommasi e dei Gioli, dei Micheli e dei Manaresi, con la pittura di certi artisti meridionali come Casciaro, Lojacono, Celommi, Villa, dei quali Mascagni fu appassionato collezionista insieme con i dipinti di Fattori, Nomellini, Corcos.
Dovessi fare un paragone “alto” fra Silvano e l’opera di un altro autore di portata europea, internazionale, eppure incentrata sul paese di origine, contemporaneo di Mascagni chiamerei in campo le Sea Pictures di Edward Elgar, 1899, altra partitura “marina”, paesaggistica, enervata, elegante e melodiosa. Oppure a Voiles di Debussy, o alla raccolta pianistica La maison dans les dunes di Gabriel Dupont, altro “verista” francese.
So già che il suo “rabido ventare di scirocco” risuonerà per molti giorni nella mia testa come un’agave montaliana.
Ricorda in particolare qualche rappresentazione livornese di Silvano?
Silvano fu rappresentato per la prima volta a Livorno il 16 agosto 1895, al Teatro Goldoni. Edizione di gran spolvero, con Mascagni sul podio e tre fuoriclasse in palcoscenico, ovvero Roberto Stagno e Gemma Bellincioni che rinverdivano i fasti della Cavalleria rusticana rappresentata nel 1890, ed il baritono Carlo Buti, che sfuggì alla celebrità solo perché una febbre contratta in Sud America se lo portò via nel 1902 a trentotto anni.
L’opera fu poi ripresa del 1923 al Teatro Rossini con due produzioni consecutive, una nella primavera e una nel successivo autunno-inverno, che mise in evidenza due tenori attesi da un brillante avvenire, Franco Lo Giudice ed Ettore Parmeggiani.
Ci vollero quasi cinquant’anni perché Silvano tornasse in scena a Livorno. Io ero presente. Dicembre 1970, una serata di pioggia, temporalesca, ma il Goldoni era gremito all’inverosimile. Gli appassionati mascagnani della vecchia guardia, quelli che avevano conosciuto il Maestro, erano ancora tanti. Qualcuno lo voglio nominare: Yorick Andreini, Corrado Favilla, Athos Saini, Bruno Di Batte. Quella sera c’erano tutti. Non so come, ma i livornesi sentivano “loro” quest’opera che profuma delle risacche ardenzine e antignanesi più di altre consorelle mascagnane. In questa occasione si mise in evidenza il tenore Gianfranco Pastine, del quale piacque il timbro chiaro e la nitida dizione, con il soprano Adelina Romano, dalla bella voce ed il tonante baritono Giuseppe Scandola. E in teatro fu tutto un rammemorare di questa o quella rappresentazione mascagnana, di questo o quell’interprete, di chi avesse conosciuto Mascagni, di come giocasse a tamburello o a scopone, di come potesse diventare furente durante una prova, degli entusiasmi che sapeva sollevare. Una buona edizione fu anche quella del 1980 con Angelo Mori, l’intensa Mariangela Rosati ed il livornese Ettore Cresci sotto la direzione di Vittorio Gajoni. Angelo Mori fu il protagonista anche della Edizione del Centenario che si tenne in forma di concerto nel 1995 alla Gran Guardia. Il tenore, ormai al termine di una carriera onorevole, fu chiamato in sostituzione di un tenore bulgaro che mai si vide a Livorno per salvare una produzione che si annunciava interessante per la direzione di Massimo de Bernart e la presenza di Denia Mazzola Gavazzeni ed Alberto Mastromarino. Da ricordare quindi la bella edizione allestita nell’agosto 2003 alla Villa Carmignani di Collesalvetti, con la direzione di Mario Menicagli e l’ottima prestazione nel ruolo protagonistico di Maurizio Comencini, che ripercorreva la tradizione puramente mascagnana di un tenore di estrazione belcantistica applicato alla parte di Silvano, affiancato da Paola de Gregorio, Carlo Morini e Miria Adriani. Questa produzione fu poi allestita nel luglio 2005 in Piazza Goldoni, a Livorno.
La messa in scena di Silvano per il Mascagni Festival, alla Terrazza Mascagni di Livorno, mercoledì 23 agosto, sarà preceduta da un’altra composizione mascagnana pressoché sconosciuta, gli Interludes to The Eternal City by Hall Caine. Ce ne può parlare?
Il 23 giugno 1902, a Firenze, Mascagni siglò un contratto con l’impresa newyorkese Liebler & Co per la composizione delle musiche di scena di un dramma dello scrittore inglese Thomas Henry Hall Caine, adattamento teatrale di un precedente romanzo omonimo dello stesso autore, dal titolo The eternal city. Per la cifra di 25.000 mila lire Pietro Mascagni s’impegnava a consegnare entro il Primo settembre 1902 “un preludio, quattro interludi, e la musica incidentale necessaria […] di alto valore artistico degna in ogni modo della sua fama”. Il contratto fu onorato e la Incidental music fu regolarmente eseguita il successivo 2 ottobre a Londra insieme con la prima rappresentazione del dramma di Hall Caine. The eternal city, interpretata da un’attrice amatissima come Viola Allen, andò in scena per un numero infinito di serate, oltre 200, poi varcò l’oceano per essere rappresentata a New York. La musica di Mascagni raccolse consensi unanimi.Per lungo tempo la Incidental music to the Eternal City by Hall Caine è stata ritenuta una sorta di araba fenice. Tutti sapevano che Pietro Mascagni l’avesse composta, nessuno sapeva dove fosse. Esisteva la riduzione pianistica a stampa (riduzione di H. M. Higgs, edizioni Metzler), ma la partitura era ritenuta perduta.
L’entità del lavoro era la seguente.
- Prelude (allegro brillante)
- Intermezzo between act 1 and 2 (andante molto sostenuto)
- Interlude between act 2 and 3 (sostenuto)
- Interlude (Carnival) between act 3 and 4 (Allegretto vivace e spigliato)
- Interlude between act 4 and 5 (Andante maestoso e sostenuto – Largo appassionato – A tempo con moto. Tempo I – Le campane di Roma)
- Serenade, Act 5 (Andante un poco sostenuto – Andantino) words by Hall Caine “How long will you love me, my Lady?”
Come spesso avviene per le musiche applicate al teatro, o di precisa ispirazione letteraria, ogni brano è accompagnato da un breve riassunto di quanto avviene sulla scena per indirizzare il senso dell’ascolto.L’anno di composizione di The eternal City (il 1902) faceva pensare che si trattasse di materia interessante, ma niente di tangibile. Per quello che concerne la storia esecutiva, conosciamo che dopo il ciclo rappresentativo inglese ed americano, Pietro Mascagni eseguì per intero la sua suite a Livorno, al termine di una recita di Guglielmo Ratcliff (Teatro Goldoni, 12 Settembre 1903) e che egli stesso, fra il 1928 ed il 1933, riesumò il “Carnevale” all’occasione di tre concerti da lui diretti a Santa Cecilia. Possiamo aggiungere che nel 1908 Hall Caine ripropose il suo lavoro con un nuovo titolo, The eternal question, e anche in questo caso fu eseguita la musica di Mascagni. Poi più nulla, se non qualche esecuzione della bella Serenade (“How long will you love me, My lady?” nella versione canto e pianoforte della quale il giovane tenore livornese Didier Pieri fu alfiere). L’incendio nella casa romana della figlia del compositore, dove la partitura della Eternal city era custodita ha fatto credere a lungo che questa musica fosse perduta per sempre, poi un recente ritrovamento americano rende possibili nuove esecuzioni, della quali la prossima livornese, credo, sia la prima in veste pubblica negli Anni Duemila.