Livorno, cittadinanza onoraria per Letizia Battaglia. Sabato 19 inaugurazione a Villa Mimbelli (presso i Granai) della mostra della fotografa palermitana
Il Consiglio comunale di Livorno ha stabilito di conferire la cittadinanza onoraria a Letizia Battaglia. Il riconoscimento sarà consegnato alla celebre fotografa palermitana dal sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, sabato 19 gennaio 2019 alle ore 18 ai Granai di Villa Mimbelli durante l’inaugurazione della personale “Letizia Battaglia, fotografie” promossa dalla Fondazione Carlo Laviosa e realizzata in collaborazione con il Comune di Livorno (la mostra resterà aperta fino al 15 marzo 2019 – le foto a corredo della notizia sono di Letizia Battaglia e sono esposte alla mostra livornese).
“Credo che molti di voi conoscano Letizia Battaglia. Una donna straordinaria che accogliamo nella comunità livornese con il titolo di cittadina onoraria, non tanto per la sua professionalità riconosciuta a livello nazionale e internazionale – lei unica europea a vincere il Premio Eugene Smith (fotografo di Life) – quanto per il suo essere persona portatrice di valori universali da preservare, trasferiti alla società anche tramite quel mestiere di fotoreporter che iniziò a fare spinta dal bisogno di stare dalla parte giusta: gli ultimi, i sofferenti, le vittime anche della mafia, ma non solo” così Francesco Belais, assessore alla cultura del Comune di Livorno, nel dibattito in aula.
“Oggi rendiamo cittadina onoraria non “la fotografa della mafia”, definizione che Letizia Battaglia detesta, ma la persona antimafia che crede nella giustizia, la persona che contribuisce a fondare il Centro di Documentazione “Giuseppe Impastato”, che crea il Laboratorio d’If per insegnare il mestiere di fotografo ai giovani palermitani, che si impegna, politicamente, nella Sicilia degli anni ottanta e novanta, a difesa dell’ambiente e della legalità” sottolinea l’assessore.
“Onoriamo questo esempio, di cittadinanza attiva, di professionalità indiscutibile e di donna che ha saputo attraversare un’epoca durante la quale le donne fotoreporter non venivano fatte accedere alla scena del crimine e lei seppe inventarsi “metodi per farsi rispettare” come quello del gridare a squarciagola fino a far imbarazzare inquirenti e poliziotti che in conseguenza la facevano passare” conclude Belais.