I grandi concerti dell’ORT. Intervista al direttore Vincenzo Milletari che sale sabato 6 maggio alle 21 sul podio di Figline

Due fuoriclasse con l’ORT: il direttore Vincenzo Milletarì (foto sopra il titolo, ph. Marco Borrelli) e il pluripremiato clarinettista Alessandro Carbonare Giovedì 4 maggio al Teatro Verdi c’è stata l’esecuzione del brano commissionato al compositore Filippo del Corno che ha introdotto il concerto per clarinetto di Weber. Ha seguito la teatralità di Richard Strauss in due pagine da “Arianna a Nasso” e la profetica Praga di Mozart. Si replica a Figline (Teatro Garibaldi) sabato 6 maggio 2023 alle ore 21.

A seguire una intervista al direttore Vincenzo Milletarì.

Può parlarci del programma dei due concerti con la ORT  quello di giovedì 4 e quello di sabato 6 maggio 2023? Com’è stato selezionato?

Il programma del 4 maggio è stato selezionato sul concetto di incastri, di costruzioni. “A coda di rondine” è un brano in cui vengono esposte delle varianti di una melodia popolare piemontese cinquecentesca “La Girometta”, intersecate fra di loro da una sequenza musicale come se fosse a coda di rondine, e da lì siamo partiti selezionando due brani del repertorio sinfonico che possono avvicinarsi: una sone le danze e l’overture da “Ariadne auf Naxos”, specialmente le danze, dove l’incastro fondamentale è di tutti i temi esposti dell’opera soprattutto quelli esposti dalle Maschere e da Zerbinetta nel famoso quintetto in cui assistiamo a questo trionfo, a questo tripudio del contrappunto. L’altra invece è la Sinfonia Praga, che è forse uno degli esempi più alti di contrappunto, specialmente nel primo movimento. Quindi l’obiettivo era costruire una grande struttura tramite piccoli incastri contrappuntistici.

Il programma contiene musica contemporanea, A coda di rondine di  Filippo Del Corno, come del resto l’ultimo concerto che ha diretto in Italia il mese scorso con l’Orchestra Sinfonica di Milano, che prevedeva un brano di Fazıl Say “La Fenice”. Quali difficoltà ma anche quali ricompense comporta l’esecuzione di musica contemporanea rispetto al grande repertorio classico?

Più che difficoltà, dirigere musica contemporanea comporta delle sfide diverse. Un musicista classico esegue musica scritta cento, duecento, trecento anni fa. Si avvale di testi, saggi, lettere, epistolari dei compositori e degli esecutori, e ovviamente registrazioni. I brani nuovi, o che sono stati eseguiti una o due volte recentemente, hanno certamente una pagina scritta, ma anche una pagina bianca, che sta a noi interpretare e dover riempire con le nostre idee, con le nostre immagini, con tutto il nostro trascorso, e la cosa bella è che quando dirigiamo un compositore contemporaneo facciamo esattamente quello che facevano i grandi compositori della musica classica, ossia interfacciarsi con gli esecutori. Ci spieghiamo, parliamo, ci capiamo, ci confrontiamo, proponiamo modifiche o sono loro stessi a proporle durante le prove: la musica è un linguaggio che può esser sempre affinato, smussato.

Andando a ritroso nel tempo, ricorda l’esatto momento in cui si è detto “voglio fare il musicista, o il direttore, professionalmente? Proviene da una famiglia di musicisti?

Mi sono avvicinato alla musica classica in maniera graduale, Sono sempre stato molto interessato al jazz quindi mi sono avvicinato dapprima al sassofono, poi alla composizione, la parte più fondamentale della mia vita, e successivamente alla direzione d’orchestra. Due momenti che ho ancora ben chiari nella memoria sono stati quando ho ascoltato per la prima volta il Lohengrin, e il preciso momento è stato quando nel preludio dell’opera iniziano a suonare i violoncelli , proprio quell’ingresso dei violoncelli è stato per me fatidico, ed è lì che ho pensato “voglio dedicare la mia vita alla musica”; e poi quando ho visto per la prima volta un direttore d’orchestra, al Teatro San Carlo di Napoli, ho visto questo “mago” sul podio che teneva le redini dello spettacolo con gli sguardi, le mani, la bacchetta: coro, orchestra e cantanti veleggiavano insieme a lui, ed è lì che ho capito che quella sarebbe stata la mia professione.

Come si è formato musicalmente?

Ho studiato prima al liceo poi fra Milano e Brescia dove ho preso il primo diploma, ho poi continuato la mia formazione fino allo step finale del Master a Copenhagen all’Accademia Reale e da lì poi ho iniziato a lavorare. Ho fatto anche un percorso parallelo prima come allievo all’Accademia del Maestro Riccardo Muti, poi suo assistente in giro per i teatri e successivamente del Maestro Pier Giorgio Morandi.

Dedica anche larghissima parte della sua attività all’opera lirica: tra le molti opere che ha diretto qual è quella che le ha dato maggiori soddisfazioni? 

Probabilmente “Ariadne auf Naxos” è quella che mi ha dato maggiori soddisfazioni; è stata un’esperienza incredibile ed è stato anche il primo titolo di Richard Strauss che ho diretto. Amo Verdi alla follia, adoro dirigere Verdi e Puccini per gran parte dell’anno, ma con Strauss ho provato la stessa sensazione che ho provato quando ho diretto per una prima volta un’opera lirica intera. Sono entrato in buca, ho stretto la mano al primo violino, ho diretto per due ore e trenta e poi sono salito sul palcoscenico per gli applausi e nel mio cuore tutto questo è sembrato durare due minuti scarsi, mi è sembrato di volare per due ore e mezzo, esperienza che ho provato solo un’altra volta, la prima volta che sono sceso in buca. La musica di Strauss è riuscita a comunicarmi così tante emozioni che tuttora non riesco a non ricordare quella produzione di Ariadne senza esser preso dai brividi.

Qual è il programma sinfonico-strumentale dei suoi sogni?

Probabilmente un programma o tutto beethoveniano o un programma ispirato alla natura, quindi con una grande sinfonia di Beethoven o un grande concerto al pianoforte, o qualcosa di completamente diverso, un po’ più inusuale, una sinfonia di Sibelius o un poema sinfonico di un compositore scandinavo, o comunque qualcosa che rimandi alla natura. Ho passato tanti anni in Scandinavia e mi sono avvicinato alla loro musica.  

Esistono uno o due compositori (operisti e no) che sente particolarmente vicini e al contrario altri che almeno per il momento non intende affrontare? E per quale motivo?

Un compositore che sento particolarmente vicino è Giuseppe Verdi, l’uomo dal linguaggio universale. La grandezza di Verdi è stata quella di riuscire a parlare delle nostre storie più intime, dei nostri valori di italiani e di esseri umani; questo è forse il motivo per cui ancora adesso è così amato sia dal pubblico, sia dai musicisti e anche dai registi perché le storie che ha messo in musica sono storie di una potenza drammatica fondamentale e rilevante ancora adesso. Un compositore che amo molto ma che credo sia ancora lontano da quello che è il mio percorso è Anton Bruckner. Stimo profondamente la sua musica ma noto come necessiti di un’esperienza, di una visione del mondo ancora più matura di quella che io ho in questo preciso momento. Richiede che ci si trovi a un punto della vita diverso rispetto ai miei 32 anni, e lo stesso Muti, e tutti i grandi colleghi con cui ho avuto il piacere di parlare mi hanno sempre detto la stessa cosa, ossia che è un compositore cui si arriva solo in tarda età, soltanto quando si ha una visione molto matura della vita e della musica perché solo così si capisce a capirne veramente il linguaggio.

I suoi prossimi impegni?

Il mese prossimo inauguro il Kissinger Sommer Festival con un concerto di gala dedicato all’opera italiana cui partecipano il tenore Freddie De Tommaso e il soprano Carmela Remigio con l’Orchestra Sinfonica di Milano, e a luglio dirigo la mia prima Tosca alla Den Jyrske Opera Aarhus.