Firenze applaude “I due Foscari”, opera tornata sul palcoscenico del Maggio Musicale dopo oltre un secolo di assenza. Domingo senza una vera forza espressiva, vigoroso Jonathan Tetelman, Maria José Siri equilibrata. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI
Ritengo I due Foscari un’opera essenzialmente introspettiva. La caducità della vita, il mutare della fortuna, l’ineluttabile vecchiaia alla quale si contrappone la plaga degli affetti. E ho sempre avvicinato questa partitura, anche per suggestioni letterarie e ambientali, ad una tinta notturna, lunare, argentea.
Ora mi direte che I due Foscari e la Sinfonia del Mare di Malipiero, tanto per parlare di due opere lagunari, non sono la stessa cosa e che certe ricerche timbriche arriveranno una cinquantina di anni dopo, o quanto meno con un altro Verdi, tipo la “riviera” di Simon Boccanegra e il “Nilo” di Aida. E la produzione del Maggio Musicale, che ha riportato in scena a Firenze I due Foscari dopo oltre un secolo d’assenza, per di più in un teatro dove a metà del secolo scorso partì la riscoperta di un certo Verdi in Italia, ha puntato tuttavia più sulla speditezza della narrazione e sui contrasti drammatici, che sui risvolti psicologici, come se si trattasse di una generica riproposta.
Dunque la regia di Grischa Asagaroff si dipana assecondando la staticità dell’opera, fra qualche citazione pittorica da Francesco Hayez, ma senza palpiti ed una vera partecipazione, così come solida è la lettura orchestrale di Carlo Rizzi, ricca di decibel, articolata su tempi serrati, ma anche piuttosto pesante.
Il carisma di Placido Domingo in questo caso più che in altri non è supportato da un vero colore baritonale, imprescindibile nel carattere di Francesco Foscari, e il personaggio alla fine risulta confinato in un generico “dolore”, senza una vera forza espressiva. Vigore che invece appartiene al tenore chileno Jonathan Tetelman dotato di un dovizioso strumento vocale, ma anche di un accento decisamente spostato verso altre frange di repertorio. Maria José Siri ha confermato l’ottima impressione data con il Nabucco del 2020, facendo intendere di essere particolarmente versata alle parti del primo Verdi che risolve con perizia ed equilibrio tranne qualche leggerissimo imbarazzo nei passi di agilità del settore più acuto. Nelle parti di fianco si è distinto per la voce risonante e incisiva il basso Riccardo Fassi, Loredano, decisamente più maturo dei colleghi Joseph Dahdah (Barbarigo), Xenia Tziouvaras (Pisana), Lulama Taifasi (Fante del Consiglio de’ Dieci) e Adam Jon (Servo del Doge). Bellissima prova del coro diretto da Lorenzo Fratini e scene e costumi (con qualche caduta) di Luigi Perego. Luci Valerio Tiberi e coreografie Cristiano Colangelo. Successo molto caloroso che si è sviluppato già dal primo atto con punte di entusiasmo alla fine.