Due giorni a Firenze fra libri (“Nel teatro del gran mondo” di Giovanni Vitali) e una magnifica ”Carmen” diretta da Zubin Mehta. La doppia recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Una piacevolissima “due giorni” fiorentina iniziata giovedì 13 con la presentazione del nuovo libro di Giovanni Vitali e terminata venerdì 14 con una rappresentazione di Carmen al Teatro del Maggio.

“Nel teatro del gran mondo”, questo il titolo del libro presentato, nasce dalla brillante idea di raccogliere in volume alcuni dei saggi che Vitali ha stilato per i programmi di sala in occasione di taluni allestimenti del Maggio Musicale fiorentino. Il libro è dunque orgazzato per capitoli a sé stanti che possono essere letti anche in soluzione di continuità, separatamente. Già il titolo, tratto da una frase del Signor Bruschino, fa trasparire l’amore di Vitali per la musica rossiniana e proprio i capitoli iniziali sono dedicati a due opere come L’Italiana in Algeri e Tancredi, nonché alle celebri prime donne che ne resero possibile la diffusione teatrale e la conquista della popolarità, ovvero Marietta Marcolini, Gertrude Righetti Giorgi, Adelaide Malanotte, Carolina Bassi. Poi il libro continua con Gaetano Donizetti e quindi con l’epopea verdiana, focalizzando ora su Lucia di Lammermoor e Linda di Chamounix, ora su Rigoletto, Trovatore e Traviata, così come sulla Forza del Destino. Terminando la lettura ci si imbatte nel valzer viennese importato in Italia da Strauss stesso, nell’opera francese, nella Firenze capitale e come gran finale in un magistrale saggio sulla genesi di Adriana Lecouvreur, opera composta da Francesco Cilea in riva all’Arno e sugli ancora parzialmente inediti rapporti fra il musicista di Palmi e Gabriele d’Annunzio che recarono ad una vagheggiata e mai realizzata Francesca da Rimini.

Se l’organizzazione del libro è per capitoli liberi, la sua lettura globale porta a rimandi continui fra personaggi straordinari, fra cantanti che hanno fatto la storia esecutiva di molti capolavori operistici, che si alternano in un affascinante caleidoscopio di nomi, fatti ed approfondimenti.

Il libro, presentato da chi firma questo articolo e dal prof. Leonardo de Lisi, al fianco di Giovanni Vitali, è pubblicato da Edifir presso la cui sede in Via de’ Pucci si è tenuto l’incontro.

Termine della serata gavazzenianamente a tavola, parlando di musica e di attualità teatrale. Et de hoc satis.

La sera successiva, dopo una splendida giornata fiorentina trascorsa in compagnia di mia moglie fra le magnifiche vedute di Piazzale Michelangiolo, la sublime ascesa alla basilica di San Miniato al Monte, al Cimitero delle Porte Sante e la meraviglia dei pittori macchiaioli, dei divisionisti e degli artisti novecenteschi esposti presso la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, ho assistito alla citata rappresentazione di Carmen.

Carmen, diciamolo subito, molto bella ed elegante, disincrostata da tutti gli spagnolismi oleografici legati ad una tradizione ormai frusta. Merito grande di questa lettura deve essere ascritto ad uno Zubin Mehta in gran forma direttoriale, lucido e attento, che ci ha restituito la raffinatezza ed il nitore di una partitura bellissima. Accanto alla sua direzione, la regia di Matthias Hartmann (assistente Claudia Blersch) e l’allestimento di Volker Hintermeyer, visto a Zurigo già anni fa, hanno lavorato nella stessa direzione, ovvero rendere protagonista la musica. Scena disadorna, qualche accenno ad elementi naturalistici, come il suggestivo e presago notturno del terzo atto, o il nodoso albero del quarto, nessun accenno al “colore” nel baile di Lillas Pastia, nei passanti sulla piazza di Siviglia, nell’apparizione delle “cigarières” la cui “fumée” è una delle pagine più vaporosamente francesi che si conoscano. Ottime le luci di Valerio Tiberi. E con questi dati, uniti al meraviglioso coro guidato da Lorenzo Fratini, alle voci bianche di Sara Matteucci, all’orchestra che suona magnificamente, una bella Carmen si è sentita e si è vista.

In palcoscenico qualche perplessità è giunta dalla protagonista Clémentine Margaine in ragione di alcuni suoni fissi e di talune intonazioni scivolose, ma alla cantante francese, richiestissima adesso quale interprete del capolavoro bizetiano, devono anche essere riconosciuti vigore e comunicativa. Fragilina (vocalmente, il personaggio è un’altra cosa) la Micaela di Valentina Nafornitā (già udita senza ricavarne entusiasmo l’anno passato come Juliette), leggerino l’Escamillo di Mattia Olivieri ed eccellente il duo Dancaïre-Remendado di William Hernandez e Lorenzo Martelli. Provenienti dall’Accademia del Maggio altri elementi del cast come Aitana Sanz Pérez e Xenia Tsouvaras (Frasquita e Mércédes: ottime nel quintetto del secondo atto, incisive nelle “carte” e nel terzettino con Carmen nel quarto atto, altrove in formazione), Lodovico Filippo Ravizza, Moralès e Volodymir Morozov, Zuniga. Altri elementi ancora sono giunti dal coro, come la brava Amanda Ferri, “une marchande des oranges” molto interessante e Nicolò Ayroldi, un bohèmien, attivi nel quadro conclusivo.

Rimane Francesco Meli, Don José. Il tenore genovese ha messo in campo una varietà di mezze voci, ora tenerissime, ora appassionate, ora imploranti, ora invece senza speranza, pur sempre rattenute in un filo di canto e d’ispirazione, di lirismi e d’impeti, di minacciose accensioni, che si mutano in espressioni tragiche, che lo pongono accanto a storici interpreti del personaggio di Don José, coté intimista, quali Georges Thill, Raoul Jobin, Libero de Luca, Nicolai Gedda. Solo il registro acuto che in Don José sovente è impegnato anche in chiave espressiva (la chiusa de la fleur; “partons! Ah, partons! Sois contente, je pars, mais… nous nous reverrons”; “pour la dernière fois, démon, veux-tu me suivre”) non ha lo squillo e la lucentezza del registro centrale. Ma raramente mi sono trovato a vibrare, fremere, ardere con un cantante, a trasfondermi in un’interpretazione fino all’accelerazione del battito cardiaco come mi è capitato nel finale di questa Carmen. Chapeau, M. Meli.

Al termine feste per tutti con doverosa dimostrazione di riconoscenza nei confronti del Maestro Mehta.