Anna Netrebko eccezionale presenza nella Turandot all’Arena di Verona. Ottimo anche il Principe Ignoto di Yusif Eyvazof. Una produzione bella, coloratissima con le proiezioni usate con sapienza. La recensione di Fulvio Venturi

di FULVIO VENTURI

Con l’opera ci si può entusiasmare ancora. Basta avere gli elementi giusti.
È quanto è accaduto in Arena (a Verona, ndr) con la Turandot del 5 agosto e, presumo, nelle due recite precedenti di questa produzione. E, diciamolo subito, il merito è di lei, Anna Netrebko.
Ben inteso, la produzione è bella, coloratissima, con proiezioni usate con sapienza a formare uno sfondo duttile alla Pechino favolistica del libretto, ma non si distacca dalle molte pregevoli Turandot viste in Arena. D’altronde l’assenza di un regista, e solo la presenza di un “direttore allestimenti scenici” (Michele Olcese, eccellente), oltre ad essere un dato innovativo, la dice lunga sulla filosofia di questa produzione.
La direzione d’orchestra di Jader Bignamini è anche buona, a tratti elegante, a tratti intensa, ma vuoi per il “distanziamento” in buca, vuoi per il coro tutto disposto sul lato sinistro, oppure perché l’Arena è sempre l’Arena, non esattamente precisa.
Buoni anche i cantanti, con Riccardo Fassi che è un dignitoso Timur, Carlo Bosi un ottimo Altoum, come sempre musicale e cesellato nella dizione, Viktor Shevchenko un “normale” Mandarino, Ruth Iniesta che canta bene tutta la parte di Liù, ma che risulta anche piuttosto impersonale, e le tre maschere, Alexey Lavrov (Ping), Marcello Nardis (Pong), Francesco Pittari (Pang) con più ombre che luci. Diciamo anche che Yusif Eyvazof mette in campo un eccellente Principe Ignoto.
Sì, certo. Eccellente.
Mi direte che la sua voce non è bella, che ha poco squillo e che ogni tanto usa qualche “tacet” non scritto per tenere gli acuti più a lungo (lo faceva anche Corelli, non scandalizzatevi). Eyvazov canta bene, con entusiasmo, è generoso, se da qualche parte toglie (tipo il concertato finale del primo atto), da altre aggiunge: acuti prodemente tenuti e talvolta non scritti, come i quattro do (4!) ribattuti del “No, no, principessa altera, ti voglio ardente d’amor” (come faceva Bonisolli, per gli amanti delle memorie teatrali). E per dare a Yusif quello che è suo, aggiungeremo che ha fatto anche un bellissimo “Nessun dorma” e che la sua interpretazione è vòlta ad un dolente lirismo.
Dovremmo però anche aggiungere per onestà che certe cose, in Arena, le abbiamo sempre viste e sentite. Talvolta anche meglio, non sia offesa per nessuno.
La rappresentazione ha avuto un indubitabile scatto qualitativo quando in scena è entrata lei, la principessa Turandot, ovvero Anna Netrebko.
Dovessi spendere un aggettivo direi “virtuosistica”. Si può essere “virtuosi” anche cantando un’opera del Novecento come Turandot. E Anna Netrebko lo è stata. In questo modo: precisione e nitore in ogni attacco, scintillio nella zona acuta dominata con grande proprietà, uso della mezza voce da vera cantante, ovvero risultando sempre sonora anche quando l’emissione è un soffio.
E su un pari livello l’interpretazione: Il distacco di “In questa reggia”, quasi più un soliloquio che un proclama, le indimenticabili mezze voci degli “enigmi”, che si facevano sempre più titubanti ad ogni risposta positiva del Principe Ignoto, per comunicare la montante incertezza di una donna violata nella sua intimità (significativo a questo riguardo il terzo enigma “Gelo che ti dà foco”) per poi tornare ai risoluti (e lanciatissimi) sovracuti nell’implorazione al padre.
Persino il bistrattato duetto finale, quello detto “di Alfano” per intenderci, spesso eseguito con la fretta di andare in fondo, è stato reso con maestria, con una fantasmagorica gamma di colori e di sensazioni da Anna Netrebko, ben supportata da Yusif Eyvazov e da Jader Bignamini la cui direzione ha trovato nel secondo e terzo atto i momenti migliori.
Le ovazioni a scena aperta dopo “In questa reggia” e la scena degli enigmi, quest’ultima prolungatissima con acclamazioni gridate e “battipiedi” hanno alzato il calore della serata. Al termine Anna Netrebko ha salutato il pubblico sia dal lato destro sia da quello di sinistra delle gradinate, proprio come ai bei tempi dell’Arena.
Sul Liston poi scambio d’impressioni con un amico riabbracciato dopo tanto tempo, Elvio Giudici.
Sì, l’Arena è ancora quella.