Un monologo racconta Truman Capote. L’ombra di Marilyn, l’anticonformismo, i pettegolezzi, la musica

Truman Capote rivive al Teatro Studio di Scandicci. Da martedì 31 gennaio a domenica 5 febbraio 2017 (inizio spettacoli ore 21, domenica ore 16.45) Gianluca Ferrato impersona l’autore di “A sangue freddo” in “Truman Capote. Questa cosa chiamata amore”, un inedito di Massimo Sgorbani con la regia di Emanuele Gamba. Un monologo da e su uno dei più grandi scrittori americani del ‘900, in uno spazio teatrale mutevole e leggero, attraversato dalle canzoni di Cole Porter, Ira Gershwin, e da Moon river dal film “Colazione da Tiffany”, una pelle prismatica di camaleonte pronto alla trasformazione, com’era la lucentezza della prosa dell’inventore del new journalism. “È una meravigliosa spirale di gioia e dolore – afferma Gianluca Ferrato – vediamo Truman Capote affrontare di petto, a testa alta, la sua vita, fatta anche di malcontenti, angosce, depressioni, senza però perdere mai il suo spirito cangiante, straordinario”. Le scene sono di Massimo Troncanetti, i costumi di Elena Bianchini, i suoni di Giorgio De Santis. Una produzione Fondazione Teatro della Toscana. Dopo il Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, lo spettacolo andrà in tournée al Franco Parenti di Milano (7-12 febbraio), al Gobetti di Torino (14-19 marzo) e al Vascello di Roma (5-9 aprile).

“Tutta la letteratura è pettegolezzo”. Così Truman Capote (nella foto  di neri Oddo sopra il titolo Gianluca Ferrato davanti ad una gigantografia di Truman Capote con Marilyn Monroe) liquidava, con una delle sue abituali provocazioni anti-letterarie, qualsiasi visione sacrale dell’arte e dell’artista. Pettegolezzo inteso come svelamento di ciò che non si sa, indagine sui lati oscuri dell’America, in modo leggero e profondo, snob e vivace come un vodka martini. È il Capote più irriverente, infatti, quello che emerge da “Truman Capote. Questa cosa chiamata amore”. L’anticonformista per eccellenza può permettersi di parlare con la stessa dissacrante arguzia di Hollywood e della società letteraria newyorkese, di Jackie Kennedy e Marilyn Monroe, di Hemingway e Tennessee Williams, senza mai risparmiare se stesso, i suoi vizi, le sue manie, i suoi successi e fallimenti. “Diventare qualcun altro da sé in teatro, su un palcoscenico, è sempre un rischio – afferma Gianluca Ferrato – ma io me lo sono preso volentieri: Truman Capote, il cangiante, geniale, straziato scrittore americano, vale questo rischio, senza calcoli. Amo tanto questo viaggio che sto facendo con sfrontatezza e pudore allo stesso tempo”.

“Sono solo in scena – spiega l’attore (nelle foto di Neri Oddo altre immagini dello spettacolo) – ed evoco, attraverso le sedie, il mondo che ha circondato Capote, in particolare una presenza femminile molto importante per lui, Marilyn Monroe, con cui mi rapporto per l’intero spettacolo. Su quelle sedie si posano le anime, dannate e non, che lui ha incontrato nella sua vita, e che lo mettono da parte quando scrive l’ultimo romanzo, Preghiere esaudite, in cui fa nomi e cognomi di vizi privati e pochissime virtù, parlando di Sartre e de Beauvoir, di Wallace Shawn e Djuna Barnes, di Greta Garbo e Mercedes de Acosta, di Colette, che è l’unica a uscirne bene, di Christopher Isherwood, di Jane Bowles e Arthur Koestler”. 

Truman Capote è un predestinato della scrittura. Inizia a scrivere a otto anni, a diciassette le prime pubblicazioni, a diciannove vince il primo O. Henry Award della sua vita. Il suo stile è già formato, come ammetterà lui stesso negli ultimi anni della sua vita; cambia l’oggetto dei suoi racconti, la materia tra le mani, ma il suo stile è quasi identico a quello della sua giovinezza, e si basa tantissimo sul suono e sul ritmo delle parole. Al cinema è stato rappresentato in modi opposti, ma, se possibile, complementari: il compianto Philip Seymour Hoffman vince un Oscar per un’interpretazione mimetica in “Truman Capote – A sangue freddo” (2005), Toby Jones in “Infamous” (2006) è un Capote meno glamour e più empatico.
“Ho un ricordo vivido della morte di Seymour Hoffman tre anni fa – ricorda Gianluca Ferrato – ero a New York e il giorno dopo andai a lasciare un fiore sul portone di casa sua, dove fu ritrovato senza vita. Vedendo il suo Capote e quello di Toby Jones ho capito che, forse, si poteva fare, potevo trasformarmi e diventare anch’io, e per la prima volta nella mia carriera, una ‘maschera’. Non dietro il più rassicurante schermo, ma in prima linea, su un palcoscenico”. Dopo un’infanzia difficile e con l’aggravante, per l’America dell’epoca, dell’omosessualità, Capote, sotto i lustrini di feste e copertine di riviste, ha saputo raccontare tanto la frizzante società newyorkese quanto il cuore più nero del suo Paese. Il tutto con una lingua costruita alla perfezione, vero elemento distintivo della sua produzione, al pari dei temi di cui si è occupato nei suoi libri, da Colazione da Tiffany a Marlon Brando. Partito dai bassifondi, lavorando come fattorino, Capote ha conosciuto il successo con i racconti, per poi imporsi definitivamente con il romanzo-verità “A sangue freddo”, storia del massacro di una famiglia e capostipite di un nuovo tipo di giornalismo letterario, il new journalism.

A lungo cristallino e unico, alcol e droga hanno finito per infiacchire il  talento di Capote. Ma ancora oggi, a più di trent’anni dalla sua morte, per cirrosi epatica nell’agosto del 1984, a neppure 60 anni di età, non possiamo che rimpiangere la sua candida e disperata voglia di stupire, di essere apprezzato e amato.
“Truman Capote mi ha insegnato la potenza dell’amore e la vacuità della vita, soprattutto – conclude Gianluca Ferrato – mi ha contagiato con il suo grande senso di libertà, di chiamare le cose con il loro nome, di dire verità scomode, così fuori moda oggi. È un senso di struggente malinconia, o, come direbbe Pasolini, di “disperata vitalità”. “Ho sempre cercato di esorcizzare i miei demoni, le ansie sotterranee che dominavano i miei sentimenti e la mia fantasia: il mio ignorare tutto questo era probabilmente uno scudo protettivo fra me e la fonte inconscia del mio soggetto”, scrive Capote parlando del suo romanzo Altre voci altre stanze. Per queste ottime ragioni io sto da trent’anni su un palcoscenico a raccontare chi sono”.

Biglietti: intero 14 euro (previste riduzioni. — Biglietteria di prevendita: Teatro della Pergola, via della Pergola – Firenze,  da lunedì a sabato dalle 9.30 alle 18.30. Domenica riposo.
Tel. 055 0763333; biglietteria@teatrodellapergola.com.
Biglietteria on line: https://www.boxol.it/TeatroDellaPergola/it/advertise/truman-capote-questa-cosa-chiamata-amore/171743

Biglietteria serale: Teatro Studio Mila Pieralli, via Gaetano Donizetti 58 – Scandicci. Tel. 055 7351023; teatrostudio@teatrodellatoscana.it.