SPECIALE “IRIS” / 3. Pietro Mascagni e l’opera senza difetti. Intervista al musicologo Fulvio Venturi, aspettando il debutto del 16 a Livorno

di ELISABETTA ARRIGHI

Il prossimo anno, per l’esattezza il 22 novembre 2018, “cadranno” i 120 anni del debutto di “Iris” al Teatro Costanzi di Roma. In previsione di questo importante anniversario, il Teatro Goldoni di Livorno, dedica a Pietro Mascagni nella sua città natale, una nuova produzione dell’opera “giapponese” che per la prima volta, su un palcoscenico italiano, viene firmata da un regista che arriva dal Sol Levante, Hiroki Ihara.

Mascagni Foto Reale
Pietro Mascagni

Si tratta di un allestimento del Goldoni in coproduzione con il Kansai Nikikai Opera Theater di Osaka, e con i teatri Verdi di Pisa e Giglio di Lucca. Il debutto di “Iris”, come già ampiamente annunciato anche da questo sito www.toscanaeventinews.it sarà il 16 dicembre 2017 a Livorno (ore 20.30) con replica il giorno 17 alle 16.30. Quindi “Iris” sarà al Verdi di Pisa il 13 e 14 gennaio 2018 e al Giglio di Lucca il 10 e 11 febbraio.

Ma qual è la genesi di “Iris”? Che ruolo ricopre nella produzione di Pietro Mascagni? Che cosa rappresentò in quel 1898 del debutto? Ecco l’intervista a Fulvio Venturi, critico musicale (anche di questo sito), autore e saggista, studioso di Mascagni e della sua musica).

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Fulvio Venturi

Maggio 1890 al teatro Costanzi debutta con successo Cavalleria Rusticana, che è anche il debutto come compositore di Pietro Mascagni. Sempre al Costanzi di Roma, nel novembre del 1898, va in scena Iris. Nel mezzo ci sono L’amico Fritz, I Rantzau, Guglielmo Ratcliff, Silvano e Zanetto. Qual è, negli otto anni che dividono Cavalleria da Iris, l’evoluzione musicale di Mascagni?

“L’evoluzione di Mascagni è rapsodica. E’ inutile cercare in lui cenni di progresso da opera ad opera – risponde Fulvio Venturi – Faccio degli esempi: in Zanetto, opera apparentemente ‘innocua’ si trovano anticipazioni di Parisina, che senza dubbio è il lavoro più complesso di Mascagni. Ogni opera rappresenta un pianeta a se stante. Forse l’unico caso ‘satellitare’nella produzione di Mascagni è la posizione di Isabeau rispetto alla già citata Parisina. Stesso ambito estetizzante, la prima solare, l’altra notturna. Due opere legate, vicine, anche se una è riuscita e una no, sono L’amico Fritz e I Rantzau. Direi tuttavia che da Cavalleria a Silvano Mascagni esprime uno stile unitario, ‘giovanile’, poi proprio Zanetto apre una seconda fase che ritroveremo diversi anni più tardi. Persino la ‘sbagliatissima’ Amica offre in questo senso ampi spunti di riflessione poiché, spogliata della tarda ambientazione verista (1905) e magari trasportata l’azione in un salotto borghese stile il ‘Più che l’amore’ dannunziano, essa sembra essere uno studio preparatorio per i grandi ‘affreschi’ sonori di Isabeau e Parisina. Iris invece giunge senza preavvisi. La novità del soggetto e dell’ambientazione si ritrovano in una musica mai avvertita prima, neanche in Mascagni”.Tissot Japonaise au bain 1864 grande copia

Come si estrinsecano, in Iris, il simbolismo e il decadentismo? E’ da considerarsi una specie di risposta italiana all’esotismo della cultura europea di quel periodo?

“Iris è una grande invenzione, un ‘sublime ikebana’ come scrisse Paolo Isotta. Mascagni in questo caso è avanti a tutti. 1898, la cultura europea è profondamente intrisa ‘d’orientalismo’. Monet dipinge le sue ninfee, Givenchy è come un giardino vietnamita, persino i profumi acquistano aromi orientali, il sandalo, l’amoma, il candido fiore di mey. La japonaise au bain di Tissot (foto sopra, particolare). Letterariamente affascinano i racconti esotici di Pierre Loti, che trovano ‘risposte’ in ogni parte del mondo. Luigi Illica, il librettista di Iris, si produce in quel periodo in un poema rimasto inedito, Nirvana, nel quale si trovano tanti spunti di Iris.Waterhouse Hypnos
Mascagni non si limita a creare una bella oleografia. Per questo suo Giappone fantastico, erotico e crudele visita la scala esatonale – e non si pensi ad una possibile dipendenza dalle Pagodes di Debussy, che verranno giù tardi – trova sonorità originali, orchestrando la voce di samisen, cimbali e gong udita nella collezione fiorentina di Alessandro Kraus col ‘terzo’ suono di Tartini, inventa una vocalità flessibile e ardita, inesorabili ritmi binari che si sposano con serenate spettrali. Il sonno è fratellastro della morte, come nel celebre quadro di Waterhouse Hypnos and Thanatos (Sleep and his Half-Brother Death, 1874, foto sopra a sinistra); la notte, ovvero il buio, è la morte; il sole, la luce, il calore, sono la vita. Persino il libro dannunziano d’Alcyone, coi suoi mari asiatici iridescenti come pietre d’opale, immobili nei loro riflessi di gemme liquide, tanto vicini alla “plaga d’un gran mare morto color del bronzo” di Iris, arriverà solo nel 1903, dunque il più vicino parallelismo artistico di Iris è quello pittorico, con riferimento ad artisti come Tissot, Monet, Waterhouse e l’italiano Nomellini che proprio fra il 1898 ed il 1899 produce la sua splendida Sinfonia della Luna”.

(Segue la fotogallery – dall’Archivio Venturi, quindi la ripresa dell’intervista al musicologo).

Il Giappone di Mascagni e quello di Puccini con Butterfly: quali sono le differenze?

“Se due opere sono distanti, questo è il caso di Iris e di Madama Butterfly. Iris si esprime per simboli, guarda alla bellezza, Butterfly vive tragicamente nel quotidiano. Non sono punti di contatto, sono differenze profonde. In entrambe la materia musicale è trattata con maestria, ma il loro Giappone è diverso. Completamente inventato quello di Mascagni, ricco di citazioni musicali quello di Puccini. Butterfly è il capolavoro che tutti sappiamo, Iris l’opera perduta da riscoprire. Se l’ambientazione fosse diversa questa domanda neanche ce la porremmo. Anche i tempi di composizione sono distanti. Iris vede la luce nel 1898 e rapidamente fa il giro del mondo. Puccini inizia a ‘vedere’ il progetto ‘Butterfly’ solo nel 1902, quando Iris era già nota ed apprezzata”.

L’Inno del Sole è senza dubbio la pagina più nota di Iris. Ma ci sono anche arie di grande armonia e bellezza. Perché, nonostante questo, Iris non è diventata una vera opera di ‘repertorio’? Perché Mascagni – guardando i titoli delle opere in cartellone in giro per il mondo – sembra essere solo l’autore di Cavalleria?

“Bisogna dire che Iris è stata per un lungo tratto una delle opere più rappresentate al mondo con circa ottocento produzioni. Questo fino alla seconda guerra mondiale, in seguito le produzioni, dal 1945 ad oggi, tout-court, non sono state più di un centinaio.
Perché Iris non faccia più parte del repertorio corrente dovremmo chiederlo ai direttori artistici, ai sovrintendenti. Anzi, questa domanda vorrei rivolgerla ad esempio al dottor Pereyra, sovrintendente scaligero. Alla Scala in due anni, due grandi opere di Giordano: La cena della beffe e Andrea Chénier (era ora). Si parla di una terza, Siberia. Scelte coraggiose e plausibili. Una ripresa di Iris (che manca dalla Scala dal 1957) non sarebbe ipotizzabile?
Lo stessa considerazione vale per altri titoli mascagnani. Il titanico Guglielmo Ratcliff, le intriganti Maschere, la sognante Isabeau, l’estetizzante Parisina, l’espressionistico Piccolo Marat, il decadente Nerone. Tutte sarebbero meritevoli di attente riletture. Mi soffermo un momento su Nerone, l’opera dalle due vite e dalla doppia cifra biografico-stilistica, dove le melodie hanno il profumo ‘delle rose passe, del miele guasto e della morte’ e dove uno splendido interludio fa annotare l’ultima zampata di Mascagni”.

Molti dicono che Iris è un’opera difficile, sia come scrittura musicale che come trama. Secondo lei queste affermazioni corrispondono a verità?

“Secondo me no. Se si vuole la grande aria tripartita, recitativo, aria, cabaletta, da capo, applauso, bisogna cambiare repertorio. Non è polemica, si deve sapere cosa si vuole. Iris è una splendida opera moderna, mossa da una trama dove compare la violenza sui minori, il degrado della grande città, il vivere nelle discariche. Scabrosa certamente, ma quanto attuale, sorprendente per la data in cui è stata scritta. Senza contare che offre una via di fuga nella bellezza, nel contatto con la natura, con il sole, con la luce”.

Quali innovazioni si trovano, dal punto di vista musicale, nella partitura di Iris?

“Quelle già esposte. I cenni alla scala esatonale, l’orchestrazione originale ed insolita, la melodia ‘continua’ come nel duetto del secondo atto, nel celebre Inno del Sole, nella scena del teatrino del primo atto”.

Mascagni fu soddisfatto del lavoro svolto?

“Mascagni era un uomo innamorato della vita, estroverso, di grande comunicativa, persino pletorico. E’ inutile cercare spunti autocritici nella sua biografia, e questo è sicuramente un limite. Riguardo ad Iris però aveva ragione: quest’opera è senza difetti”.

Lei è uno studioso di Mascagni: qual è il suo giudizio riguardo a quest’opera che sta per compiere i 120 anni della première e sta per tornare in scena a Livorno?

“Aspetto ovviamente di vedere il risultato finito e spero anche in una regia illuminante, non didascalica, piena di colori e d’inventiva. Tuttavia sono stato invitato dalla Fondazione Goldoni a partecipare come docente alla masterclass-guida della produzione. Ho trovato molti giovani cantanti di ottimo livello, preparati, entusiasti del lavoro da svolgere, ai quali rivolgo il più fervido augurio. ‘Questa è una bella materia’ come disse Francesco Francia nell’ammirare una scultura di Michelangelo. Buon vento…”