“Alceste” al Maggio Musicale, entusiasmo e inquietudine nella bella direzione di Federico Maria Sardelli. L’umana partecipazione di Nino Surguladze

di FULVIO VENTURI

Preceduta da una celebre introduzione firmata da Gluck, ma forse estesa da Ranieri de’ Calzabigi, autori di musica e libretto, Alceste perfeziona e mette a sistema quella «riforma» del melodramma che i due autori avevano già enunciato con Orfeo ed Euridice. Presentata nel 1767 al Burgtheater di Vienna, Alceste subì forti modiche undici anni dopo quando fu rappresentata a Parigi e, quindi conobbe la sua massima diffusione con la versione parigina ritradotta in italiano.

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Il direttore d’orchestra Federico Maria Sardelli

Dunque oggi nell’allestire quest’opera la scelta della partitura da eseguire s’impone più della questione filologica in sé. A Firenze, al Maggio Musicale Fiorentino, si è optato per la versione originale, Vienna 1767, nella edizione critica di Gerhard Croll. A capo della produzione è stato chiamato uno dei filologi più in vista dei tempi d’oggi, profondo conoscitore e delizioso esecutore della musica di Vivaldi, nonché sapidissimo musicologo dalla prosa godibile e nitida. Chiamata felice perché Federico Maria Sardelli si è dimostrato non solo filologo di buon senso (“deve essere sfatato un luogo comune: che il neoclassicismo gluckiano sia qualcosa di liscio, uniforme, polito e monocorde come un marmo“, ha dichiato concertando l’opera) ma direttore di polso fermo e vigore. E fedele a questa sua visione ha sfoderato un entusiasmo ed una inquietudine quasi protoromantici nel rapporto fra orchestra e palcoscenico, ovvero nella narrazione stessa della tragedia, insolita per Gluck, evitando la noia da accumulo di sublime che troppo spesso attanaglia questo genere di rappresentazioni.

 

Altro pilastro della produzione, l‘allestimento, regia, scene, costumi e luci, di Pier Luigi Pizzi, proveniente dal Gran Teatro La Fenice di Venezia. Scena unica nella quale variano solo pochissimi arredi, costumi pizzianamente essenziali e ben disegnati, regia che sottolinea sia il carattere dei personaggi che la fisicità in qualche caso notevole degli interpreti. Qualcosa che ha fatto il paio con le inquietudini e gli entusiasmi di Sardelli.

Fra i cantanti la vicenda è stata meno entusiastica, ma comunque animata da preparazione e professionalità.

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Nino Surguladze (dal sito web)

Nino Surguladze ha trovato per la protagonista Alceste accenti di umanissima partecipazione espressi senza cedimenti. E la parte, che ricordiamo essere stata di Kirsten Flagstad, Maria Callas e Leyla Gencer, è spossante, incessantemente lunga, vivida: dunque perdoneremo a lei qualche emissione non perfettamente sfogata in alto ed un registro basso non sempre a fuoco. Al suo fianco Leonardo Cortellazzi ha disegnato un Admeto innamoratissimo della consorte, stupefatto, disperato nel suo dolore tanto da muovere la pietà d’Apollo e come cantante è stato ragionevolmente sonoro. A questo punto dovremmo aprire una parentisi sulla vocalità del cantante settecentesco, ma sarebbe questa materia quanto meno da saggio monografico: ci limitiamo a dire che una fonazione sbiancata e tendente alla fissità ci convince poco anche in questo repertorio.

Ricordiamo dunque Gianluca Margheri nella doppia parte del Gran Sacerdote d’Apollo e Apollo stesso più per la scultorea fisicità che per la vocalità in sé, l’esangue coppia d’Ismene e d’Evandro impersonificata da Roberta Mameli e Manuel Amati, la tenera prole regale data da Eumelo e Aspasia interpretata dai bravi Sebastiano Siega e Arianna Fracasso (voci bianche) e per finire Adriano Gramigni che è stato sia l’Oracolo che un Banditore.
Il coro (maestro Lorenzo Fratini) che come sempre in Gluck si eleva a livello di protagonista è stato buono, ma non eccellente, risultando forse troppo chiaro nelle sezioni acute.

Successo calorosissimo per tutti con punte di particolare temperatura per Federico Maria Sardelli, livornese come Calzabigi, quasi ad evindenziare un legame endemico con questa partitura, de!